Historia del tabacchino

 




Genoveffa D'Atri


Sono nel salottino di Giulia e Genoveffa D’Atri, sul corso Pisacane. Conoscenti, amici e parenti entrano e trovano la calda, affettuosa accoglienza delle due sorelle; spesso entrano anche turisti di passaggio, si soffermano accanto all’espositore di cartoline in bianco e nero, vorrebbero acquistarle, Genoveffa risponde  di prenderle liberamente, i turisti increduli prendono una, due cartoline senza abusare, chiedono se possono lasciare un’offerta, Genoveffa e Giulia sorridono e scuotono la testa… il tutto in un clima di grande gentilezza e signorilità reciproche che riporta alla mente il detto “è la barca che chiama i marinai.Io vengo qui anche per prendere lezioni di storia.



Foto dall'archivio di Giulia e Genoveffa D'Atri- le frecce indicano le sedi del tabacchino nel corso di oltre due secoli


Sino a pochi anni fa, questa era la sede della rivendita tabacchi; poi Genoveffa ha venduto la licenza e l’attività si è spostata alla sede attuale, poco oltre il portone di Pascarella.
- Genoveffa, conosci la data dell’apertura del tabacchino?- chiedo.
-Siediti- risponde, e mi porge carta e penna. Al pari degli altri vecchi di Ponza, mette a disposizione con generosità ricordi, fotografie, lettere ma esige rigore assoluto: stiamo parlando della storia di Ponza! Genoveffa comincia a raccontare.

-Alcuni decenni fa il Monopolio di Stato istituì un premio da assegnare alla rivendita di sali e tabacchi più antica, la cui gestione fosse rimasta nella stessa famiglia. Sapevo che il nostro tabacchino era stato aperto alla fine del Settecento; chiesi alla mia vecchia amica Cecilia Cuomo di eseguire una ricerca presso l’archivio della diocesi di Ischia. Cecilia è morta da qualche anno; la nostra amicizia nacque negli anni in cui studiavo a Ischia. Insegnante di liceo, con buone entrature negli uffici vescovili, Cecilia raccolse tutta la documentazione. 

-E tu vincesti il premio! Sicuramente nessun altro tabacchino poteva vantare origini più antiche.
- No, il premio andò ad un altro tabacchino meno antico in forza di un cavillo; secondo gli organizzatori, la gestione del nostro tabacchino non era rimasta sempre nell’ambito della stessa famiglia. E’ una storia lunga.


Per raccontarla bene, andiamo a sfogliare il libro All’isola di Ponza di Silverio Corvisieri. Nel Settecento il sale è merce preziosa, indispensabile per conservare gli alimenti; nel 1761 il marchese Teofilo Mauri, responsabile dell’Azienda Allodiale, commissiona a Michele Basile un’indagine sui libri contabili dell’amministrazione dell’isola; Basile ha soggiornato a Ponza per nove anni, aspira alla carica di Fiscale, è perciò in grado di eseguire un lavoro minuzioso.

Il sale è concesso ai ponzesi a prezzo politico; essi ne fanno largo uso per la salagione del pesce ma i consumi riportati nei libri contabili appaiono ugualmente eccessivi al Basile, che avanza il sospetto di contrabbando. Propone pertanto di tenere il sale in un magazzino con due chiavi, una consegnata al contabile, l’altra all’amministratore; propone inoltre che l’amministratore consegni al contabile non più di un cantaro di sale alla volta.


Genoveffa riprende il racconto: -Alla fine del XVIII secolo la feluca del dispaccio partiva ogni quindici giorni da Ischia e raggiungeva Ponza con un carico di sale e tabacco. L’affidatario del servizio era l’ischitano Leonardo De Luca. Nel 1799 De Luca si stabilì a Ponza insieme al figlio Francesco; quest’ultimo aprì la rivendita di sale e tabacchi lungo l’odierno corso Pisacane, all’epoca corso Farnese, occupando il locale che,  da qualche anno,  è tornato ad essere sede del tabacchino. Gli  attuali titolari discendono per parte di madre da Leonardo De Luca.

Siamo arrivati alla seconda metà dell’Ottocento. Francesco De Luca ha messo su famiglia; uno dei suoi figli, Vincenzo, diverrà sindaco; la figlia Civita eredita il tabacchino e va in moglie all’avvocato Vincenzo Tarantino. Civita muore dopo cinque anni; il tabacchino passa al Tarantino.


Giulia Migliaccio

 Genoveffa D’Atri continua il racconto. Vincenzo Tarantino, avvocato e proprietario del tabacchino, si risposa con Giulia Migliaccio e, dopo un anno, passa a miglior vita.

Rita: -Giulia Migliaccio era tua nonna. La gestione è perciò rimasta nell’ambito della tua famiglia; perchè, allora, non vi fu attribuito il premio?
Genoveffa:- Secondo gli organizzatori, la gestione Tarantino interrompe la continuità. Giulia, di famiglia benestante, riceve in dote 4000 lire, al pari delle sorelle Genoveffa, Concetta, Maria; quest’ultima sposa Francesco Bosso. Tarantino muore a un anno dalle nozze; Giulia chiede alla sorella Maria di affidarle uno dei quattordici figli; fresca vedova, ha da occuparsi della piccola Elisabetta e del tabacchino, non pensa di risposarsi e respinge con sdegno il corteggiamento di Giovanni Manna, maresciallo della Guardia di Finanza; l’uomo va tutti i giorni in negozio con la scusa dell’inventario, Giulia è seccata, si lamenta con un funzionario dei Monopoli con cui ha rapporti di lavoro e riesce ad ottenere il trasferimento del corteggiatore. Giovanni viene destinato a Milano; torna a Ponza dopo qualche anno, rinnova la richiesta di matrimonio e Giulia, finalmente, capitola.


La partecipazione di nozze di Elisabetta Bosso e Giuseppe Andreozzi scritta da Giulia Migliaccio

-Tua madre, Adele Manna, era per i parenti zì Giuannina.
- Infatti, in famiglia l’hanno sempre chiamata col nome del padre. Anche nel suo caso il tabacchino fu galeotto. Mio padre Silverio D’Atri studiava lontano da Ponza, prima al seminario di Ischia, poi alla facoltà di Medicina di Napoli; il pensiero, però, era sempre rivolto alla ragazza dagli immensi occhi azzurri che aveva visto per la prima volta a quattordici anni, dietro al bancone del tabacchino. Quando era a Ponza, papà andava a comprare sigarette dieci volte al giorno, una sola sigaretta alla volta, quelle Macedonia leggere che sono uscite dal mercato intorno agli anni Settanta. I miei si sposano, vanno a vivere in via Corridoio, nel 1929 nasce mia sorella Giulia. Pochi mesi dopo Nonna Giulia si ammala e mia madre deve prendere nelle sue mani le redini del tabacchino; trasloca nella casa materna, collegata al negozio con una scala interna, e riesce a occuparsi dell’attività, della madre inferma e a crescere cinque figlie. Papà, intanto, lavora a Ventotene come medico dei confinati. 

Adele Manna D'Atri

-Tu sei cresciuta dietro al bancone.
- Ho studiato lontano da Ponza ma, quando tornavo a casa, il mio posto era lì, dietro al bancone; a diciassette anni ho cominciato ad occuparmi dell’attività in maniera continuativa, nel 1974 sono diventata titolare.

il medico Silverio D'Atri

Negli anni Settanta la Rivendita Tabacchi n. 1 lascia la sede storica (i locali in cui oggi si trova la libreria il Brigantino) e si trasferisce pochi metri più avanti; Genoveffa continua a vendere sigarette agli adulti e a regalare caramelle ai bambini, estraendole da un parallelepipedo di cristallo posto a un’estremità del bancone; solo chi non ha trascorso l’infanzia al Porto può non ricordarlo.


Il dottor Silverio D'Atri, la moglie Adele e la figlia Giulia

Genoveffa commenta: -La vita del tabaccaio è sempre stata improntata alla serietà e al decoro. E le tabaccherie, come i Carabinieri e gli uffici delle Imposte, erano il segno tangibile della presenza dello Stato o, ai suoi tempi, del Regno. Noi tabaccai del passato siamo sempre stati consapevoli di questa importante funzione nel vendere il sale, il tabacco, ma anche il chinino o il carburo. Abbiamo sempre collaborato con le autorità preposte e ci siamo sottoposti tranquillamente a tutte le norme e a tutte le restrizioni previste. I controlli della Guardia di Finanza erano molto frequenti e il maresciallo, con i suoi subalterni, veniva a redigere l’inventario fisico degli articoli di monopolio per controllare che non si facesse contrabbando. Quindi elencavano le giacenze che rinvenivano all’atto della visita e le confrontavano con gli acquisti e con le vendite, ritirando tutte le bollette di consegna del sale e del tabacco. Un tempo le sigarette venivano vendute sfuse e nessuno acquistava un pacchetto intero. C’era un andirivieni continuo perché gli stessi clienti venivano anche più volte nella stessa giornata. Ed erano tali l’abitudine e l’abilità nel distribuire le sigarette che mia madre ed io, senza neanche guardare, sapevamo prelevare dal pacchetto il numero giusto di sigarette senza sbagliare mai.


il dottor Silverio D'Atri

Rita: Vendevate anche sale, cartoline, francobolli e, a Natale, certi indimenticabili pastori dai colori pastello.

Genoveffa: Sia i pescatori che le famiglie consumavano quantità molto ingenti di sale per conservare il cibo e, soprattutto, il pesce. Avevamo una cosiddetta “sassola” di legno, una specie di grandissimo cucchiaio che sapevamo riempire prendendo esattamente la quantità di sale richiesta prima ancora di pesarla. Una volta la nostra bilancia si è rotta perché corrosa dal sale e quindi misuravamo la quantità richiesta ad occhio, con la “sassola”. Poi i clienti andavano da un amico commerciante che si era messo a disposizione per verificare esattamente la quantità pagata e… tutte le pesate sono risultate esatte e nemmeno una persona è tornata indietro a lamentarsi!  La vendita del sale sfuso creava molti problemi perché il sale assorbe l’umidità, molto alta sull’isola, soprattutto nelle giornate di scirocco. Avevamo una cassa di legno che conteneva dieci quintali di sale, ma nemmeno questa era sufficiente a risolvere il problema perché il sale si scioglieva comunque e l’acqua salata, anzi la salamoia, colava attraverso le giunture e raggiungeva il pavimento. Abbiamo dovuto cambiare il pavimento ben due volte perché il sale l’aveva corroso ma nel 1971, era ancora titolare mia madre, anche se di fatto gestivo tutto io, ho letto sul nostro giornale di categoria che era stata approvata una disposizione in base alla quale, se si rinnovava l’arredo e si ristrutturava l’esercizio, era possibile essere esentati dalla vendita del sale sfuso. Così, in men che non si dica, abbiamo provveduto a rimodernare la rivendita e abbiamo risolto il problema. All’inizio è stato difficile convincere i clienti che dovevano comprare il sale nei pacchetti, ma abbiamo affisso il ritaglio del giornale su una parete e, un po’ alla volta, se ne sono fatti una ragione. 



La foto di Genoveffa è di maggio 2022, scattata dalla nipote Adele che si occupa amorevolmente delle zie. Ho raccolto la testimonianza a settembre 2018; nel 2014 la rivendita era stata ceduta agli attuali proprietari, discendenti del fondatore. Ho pubblicato Historia del tabacchino su Ponzaracconta e sul sito di Calafelci, poi ho mandato il link alla Federazione Italiana Tabaccai; mi hanno contattato immediatamente. La dottoressa Graziana Migliaccio, calabrese, ha voluto dedicare un ampio reportage alla vicenda sulla rivista della Federazione.



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