La lettera di Mussolini: qualche dubbio, un'ipotesi

 Ai primi d’agosto il parroco di Ponza, Luigi Maria Dies, riceve un plico contenente una lettera, un libro, soldi.



Giuliano Vernarecci dichiara che il plico è recapitato da suo padre, Giovanni, agente di Pubblica Sicurezza addetto alla sorveglianza dell’ex duce; nei testi di Silverio Corvisieri la consegna del plico è attribuita ad altri membri della scorta.

Probabilmente il parroco è il primo in Italia e in Europa ad avere la certezza che Mussolini si trova a Ponza, se si eccettuano gli addetti ai lavori (coloro che hanno deciso il trasferimento, i militari che hanno partecipato al viaggio, la scorta). 

Il primo rigo della lettera consegnata a Dies reca luogo e data: usava così, quando ancora si scrivevano lettere.

Per ventuno anni l’Italia intera, dagli scolari agli impiegati ai ministri, ha usato il formato imposto da Mussolini: luogo-giorno-mese-anno in cifre romane, assumendo come anno zero la data della marcia su Roma (1922), inizio dell’era fascista.
Mussolini avrebbe dovuto scrivere “Ponza, 5 agosto anno XXI E.F.” anziché “Ponza, 5 agosto 1943”.
L’anomalia non sfugge al parroco Dies, che commenta: “La lettera Ponziana è l’atto di morte del Fascismo scritto dal suo fondatore. Prova ne è la data.”
Gli eventi successivi dimostrano che Mussolini non ha mai considerato morto il fascismo; tuttavia, egli rinuncia alla data fascista in uno scritto privato, diretto a un prete di sicura fede fascista.
Dies, al pari di ogni altro italiano, è abituato alla data scritta in formato fascista, infatti nota l’anomalia e ne dà una spiegazione. Nel resto del mondo la stringa di tre caratteri – due X e un’asta – risulta priva di significato; se si dovesse fare una sintesi veloce del documento (necessaria in tempi in cui non si trasmettono fax, mail ecc.) XXI potrebbe essere omesso.

   Bruno Mussolini

Molto Reverendo,

sabato 7, ricorre il secondo annuale della morte di mio figlio Bruno, caduto nel cielo di Pisa.

Vi prego di celebrare una Messa in suffragio della sua anima.

Sono le prime righe della lettera che Benito Mussolini, prigioniero a Ponza da nove giorni, scrive al parroco Dies.
L’ex duce ha esperienza di prigionie: è stato in carcere insieme a Nenni, ha mandato in carcere o al confino decine di migliaia di persone. Sa bene che un prigioniero non può scrivere liberamente; sa a quali regole devono sottostare l’invio e la ricezione di posta.
Mussolini non è uno sprovveduto che, scrivendo e facendo recapitare una lettera, commette una leggerezza; sta inoltrando corrispondenza clandestina e ne è pienamente consapevole; conosce i rischi a cui si espone e a cui espone altre persone.
La scorta è complice o distratta e, in entrambi i casi, ha forti responsabilità.

Se la lettera fosse scoperta, la scorta dovrebbe risponderne. È una scorta straordinariamente benevola con il prigioniero; esprime ammirazione e, addirittura, devozione nei confronti dell’ex duce.  Perché rischiare di perderla, di vederla sostituita da una meno comprensiva? L’uomo che fa da messaggero sa di rischiare grosso, tanto più che sull’isola ci sono carabinieri e poliziotti, e tra loro regna atavico antagonismo.
Quanti rischi, e quanto elevati, per la celebrazione di una messa in suffragio!
Non basterebbe una richiesta verbale? O, tutt’al più, un anonimo biglietto di accompagnamento all’offerta in danaro che, se scoperto, non comprometterebbe nessuno? Perché riempire due facciate, in gran parte con considerazioni su un libro? Forse per rendere possibile una comparazione, se non una vera e propria analisi grafologica?


 Dopo aver chiesto che  sia celebrata una messa in memoria del figlio Bruno, l’ex duce scrive:

“Vi accludo mille lire di cui disporrete nel modo più conveniente. Desidero farvi dono del libro di Giuseppe Ricciotti, che ho finito di leggere in questi giorni: La vita di Gesù Cristo”.
Considerate le circostanze dell’arresto a Villa Savoia, del trasferimento a Ponza, Mussolini dovrebbe essere giunto sull’isola privo di bagaglio, di soldi – se non quelli con cui era uscito di casa -, di libri.
Silverio Corvisieri scrive che, ai primi di agosto, i familiari gli fanno pervenire una forte somma di denaro, due bauli pieni di vestiti, libri, frutta. È presumibile che le mille lire e il libro La vita di Gesù facciano parte di questa rimessa.
Lo stipendio medio di un operaio è all’epoca 500 lire; Mussolini destina al prete – che non conosce- un’offerta più che ingente, in un momento in cui non può disporre di entrate regolari, in cui non sa se, dove e quando potrà ricevere altri fondi.
“Di cui disporrete nel modo più conveniente” è una formula piuttosto insolita per accompagnare un’offerta. Ben si adatta, invece, alla costituzione di un fondo cassa, con la rassicurazione che nessuno chiederà conto delle spese, nessuno vorrà vedere ricevute giustificative. Mussolini manda anche un libro di cui è appena venuto in possesso, che sta leggendo, commentando e annotando, che è fonte di profonda riflessione. In genere, tomi del genere si conservano gelosamente, si rileggono, non se ne fa dono a uno sconosciuto.La lettera prosegue con frasi di apprezzamento per il libro e i saluti.

Mussolini ha preso informazioni; gli hanno assicurato che Dies è persona colta, di forte carisma, autorevole, punto di riferimento per la comunità; essendo un prete, ha maggiore libertà di movimento rispetto a ogni altro cittadino. Dies è fascista, come quasi tutti sono stati fino al pomeriggio del 25 luglio. Dopo alcuni giorni di prigionia, Mussolini ha capito che la sua liberazione non è scontata, non avverrà grazie ai  mitomani e velleitari che progettano imprese fantasiose. Ogni sera i carabinieri della sua scorta si recano al Porto, su via Canalone; hanno chiesto al quattordicenne Giannino Conte, proprietario di una radio a galena, di trascrivere i bollettini di guerra; la lettura dei bollettini spegne le tenui speranze coltivate durante il giorno.

 i cugini Giannino Conte e Ernesto Prudente, futuri maestri


Mussolini capisce che, se vuole essere liberato, deve agire, deve impiegare ogni risorsa disponibile, deve rischiare il tutto per tutto. Confeziona allora un messaggio che, in prima battuta, raggiungerà il parroco del paese. Nel messaggio:

– fornisce le coordinate spazio-temporali della prigionia; usa un formato universalmente comprensibile

– allega mille lire, sa che l’invio di messaggi clandestini costa. Rassicura il prete: che le spenda come ritiene più opportuno, nessuno gliene chiederà conto

– scrive di suo pugno un centinaio di parole, quel che basta per una comparazione della grafia

– consegna un oggetto sulla cui appartenenza non possono sussistere dubbi: il libro che i familiari gli hanno inviato pochi giorni prima, con sottolineature e annotazioni di suo pugno.

La sera successiva – nella notte tra il 6 e il 7 agosto- arriva un ordine improvviso: Mussolini deve essere trasferito a La Maddalena. Dies, se anche volesse, non potrebbe fare più nulla per liberare l’ex duce. “Mussolini è l’ultimo deportato che implorava soccorso, l’ultimo esiliato che chiamava il sacerdote (…) L’autografo col richiamo al libro è un’istantanea con cui Mussolini ha fotografato il fondo del suo spirito, rivelando, in un’ora ch’ei credeva l’ultima di sua vita, la sua fede Cattolica, il suo testamento religioso, il suo attaccamento alla Patria” (Dies, 1949). Oppure Mussolini è un leone in gabbia che lotta furiosamente, disperatamente per la sua libertà.

 


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