Amerigo Bosso era il postino di Ponza negli anni del confino. Di lui mi ha parlato qualche anno fa zio Mario, nipote di Amerigo: “Era un uomo simpatico, dal carattere allegro, dai modi garbati." Dal momento che non ho trovato foto di zì Amerigo, inserisco il ritratto di un (ex) postino che ha i requisiti giusti: ponzese, simpatico, dai modi garbati. Zio Mario ricordava: "Tutti lo chiamavano zì Amerigo, non solo noi familiari. Nella foto di famiglia, che ritrae i genitori e i suoi tredici fratelli, zì Amerigo non c’è; al suo posto, un cappello da marinaio che la madre Maria tiene tra le mani. Quando la foto fu scattata zì Amerigo era a Taranto, sottufficiale della Regia Marina. Continuò a vivere a Taranto anche dopo il matrimonio con zia Giulia, ponzese; lì nacquero i figli Elio e Concetta. A un certo punto zì Amerigo cominciò a sfrennesiare: gli mancavano Ponza, la famiglia d’origine e, soprattutto, la caccia. La moglie non voleva saperne di tornare all’isola natìa, non voleva che lui si congedasse, pensava che Taranto avrebbe offerto maggiori opportunità ai figli; allora zì Amerigo fece recapitare a casa una lettera del comando della Regia Marina in cui si comunicava il congedo; così, senza discussioni, la famiglia tornò a Ponza.”
A Ponza zì Amerigo integra la pensione con lo stipendio da “portalettere rurale”; nell’amministrazione delle poste già lavorano il fratello Giuseppe e il nipote Francesco. Per otto anni svolge il suo lavoro di postino, benvoluto dai compaesani, apprezzato dal superiore.
Due delle nipoti, figlie di Giuseppe, si fidanzano con confinati: Giuseppina con Carlo Fabbri, Maria con Silvio Campanile; nei rapporti di pubblica sicurezza si legge che Candida, sorella di Maria e di Giuseppina, è a sua volta fidanzata con un confinato, ma i familiari ritengono che la notizia sia infondata. Gli stessi rapporti di polizia descrivono tutte e tre le sorelle come elementi pericolosi, sprezzanti nei confronti dell’autorità: è l’etichetta che viene applicata a tutte le ragazze che frequentano confinati, è anzi l’etichetta benevola perchè spesso compaiono giudizi pesanti sulla moralità delle giovani ponzesi.
A maggio 1935 Francesco Coviello, Commissario di Pubblica Sicurezza, indirizza al Questore di Littoria una lunga e dettagliata relazione:
“Da tempo quest’ufficio aveva dovuto constatare più di una volta come i confinati di questa Colonia, malgrado la rigorosa attiva vigilanza esercitata, riuscissero ugualmente a mantenersi in collegamento con ex confinati e sovversivi in genere del continente, per scopi di natura politica.”
Seguono sei pagine nelle quali è evidente la preoccupazione di fugare il sospetto di inefficienza o di inerzia, una sorta di excusatio non petita; in casi del genere, per salvare la poltrona e la stima dei superiori, per dar prova di efficienza, è essenziale esibire immediatamente uno o più colpevoli, non perdersi in indagini lunghe e dall’esito incerto; infatti la relazione si conclude con la richiesta di infliggere cinque provvedimenti di ammonizione. Zì Amerigo è uno degli ammoniti.
La posta dei confinati è sottoposta a censura, l’unico modo per eluderla è evitare che le lettere transitino per l’ufficio postale; quindi, argomenta Coviello, zì Amerigo ha prelevato le lettere dal sacco della posta in arrivo e le ha consegnate alle nipoti; analoga operazione ha fatto alla partenza, inserendo le lettere nel sacco della posta in uscita senza farle transitare per l’ufficio postale e, di conseguenza, per l’ufficio censura. E’ un’accusa pesante che comporta il licenziamento e l’ammonizione; ed è un’onta per zì Amerigo, sottufficiale in pensione della Regia Marina e ligio dipendente dell’amministrazione postale.
L’accusa non è sorretta da alcuna prova.
E’ fuori di dubbio che le ragazze corrispondano con i fidanzati e con altri confinati; è verosimile che lo facciano adottando il solito, vecchio trucco delle due buste: sulla busta interna c’è il nome del destinatario reale, su quella esterna ci sono nome e recapito di un amico insospettabile e complice al quale la posta viene consegnata senza alcun controllo. In circostanze simili è fondamentale l’esame delle buste ma il commissario Coviello non può perdere tempo ad indagare.
A marzo del ‘36 l’ammonizione viene revocata ma oramai zì Amerigo è stato licenziato dalle poste.
A settembre dello stesso anno zì Amerigo inoltra una richiesta di inchiesta al ministero delle Poste: che si verifichino le buste delle lettere ricevute dalle nipoti, che si constati se esse presentano timbri postali. Zì Amerigo aggiunge che le ragazze non hanno fatto il suo nome, che nulla a suo carico è emerso dal confronto tra lui e le nipoti; scrive che il commissario non ha messo a verbale l’esito del confronto nonostante lui lo abbia esplicitamente richiesto; osserva che sarebbe stato facile predisporre un pedinamento durante la consegna della posta. Il tono della lettera è rispettoso e garbato ma fermo.
Il Commissario aggiunto Salvatore è costretto ad ammettere che, da un attento riesame della pratica, non si rileva alcun elemento a carico di zì Amerigo e che l’accusa fu frutto di deduzioni.
Cancellata l’ammonizione, restano in atto le conseguenze.
Le poste hanno assunto un altro portalettere rurale, pertanto non reintegrano zì Amerigo; al quale pesa l’accusa di sovversivo, infamante per un sottufficiale in pensione della Regia Marina.
Ad agosto del ‘43 Ponza vive un periodo di fame e di miseria; zì Amerigo si reca da una sorella a La Spezia insieme alla figlia Concetta. Viaggiano sul gozzo di Di Fazio “il pittore”; nei pressi di Terracina la barca incaglia in un cavo antimine, si capovolge, zì Amerigo prende il timone in mano e porta in salvo i passeggeri.
Muore a La Spezia dopo qualche anno.
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