Giuann, la culata e i confinati

 

Casa Coppa è in cima alla salita, a destra della Chiesa; i lavori di sopraelevazione dei Cameroni non sono stati ancora realizzati


Da quando Ponza è diventata colonia confinaria, Giuann' ha perso il piacere di fare la culata. La casa in cui vive e lavora è una delle più grandi dell’isola e, di sicuro, la più antica; nella pianta di Agostino Grasso del 1766, che riporta lo stato dei luoghi prima dell’edificazione del Porto, è individuata come Abitazione degli Officiali (lettera G, al centro della tavola). Intorno, nella zona della Parata, alloggiano prostitute, tant’è che fino ai primi del Novecento la zona è considerata malfamata.  Adesso, nel 1928, la casa appartiene al dottor Gennaro Coppa, medico.



In casa Coppa la culata (bucato) si fa di rado, come usa nelle famiglie benestanti; la moglie del dottor Coppa, Maria D’Atri, ha portato in dote un ricco corredo.
La culata è un lavoro di squadra, vi prendono parte le donne di casa e si ricorre ad aiuti esterni. Occorre tirare su l’acqua dalla cisterna, metterla a bollire nel caularone, andare avanti e indietro dal lavaturo, sistemare bagnarole, tavole (assi scanalati) e strofinare energicamente la biancheria. Poi i panni vengono sistemati nel cufenaturo, si copre con un telo, si versano sapone, cenere, acqua bollente e si lascia in ammollo; infine si recupera l’acqua saponata per il lavaggio degli indumenti delicati, si passa al risciacquo e alla torcitura (strizzatura). 




A questo punto entra in scena Giuann', aiutante nelle fasi precedenti ma protagonista assoluto nella stesa dei panni: è un'esecuzione da solista, non sono ammesse intrusioni. Il palcoscenico è eccezionale giacchè Casa Coppa è visibile da ogni parte di Ponza, dagli Scotti a Sant’Antonio a Santa Maria. Giuann' prepara le funi e comincia a celebrare il suo rito: con geometria impeccabile stende le lenzuola, le federe, le tovaglie e tutto il resto. I panni sporchi si lavano in casa, d'accordo, ma una volta puliti e sbiancati, stenderli in pubblico è una soddisfazione; stenderli in modo che tutto il paese possa vederli, è un orgoglio che solo Giuann' può provare.


Per le donne di casa la fatica non è ancora finita, le attendono la stiratura, la piegatura, la sistemazione nei bauli e nei cassetti, dove si spargeranno rametti di spicandossa (
lavanda); adesso, però, mentre Giuann' stende, è il momento di riprendere fiato, di fare una chiacchiera e una risata, la culata è anche momento di socializzazione e rito collettivo.

Giuann', completata l’opera della stesa, esce, percorre velocemente la discesa, il corso, raggiunge la sua postazione -il muretto di fronte al negozio di frutta di Elena- e resta a lungo ad ammirare lo spettacolo di panni candidi sventolanti, li indica ai passanti: “Vedi? Vedi come li ho stesi belli! I maccaturi cu i maccaturi, i cammise cu i cammise, i pannulini cu i pannulini...Sì, l'aggia stisi proprio belli”.


Poi, Ponza diventa colonia confinaria.

Camilla Poesio scrive:
Nella scelta dei luoghi di confino, di cui si volle sfruttare la posizione naturalmente isolata e le strutture preesistenti, è evidente che il governo non investì in maniera massiccia sulle colonie. Nel 1928 la Direzione generale di pubblica sicurezza dovette comunicare che gli 8 milioni inizialmente destinati alle colonie erano già stati prosciugati; per eseguire lavori di ampliamento nella colonia di Ponza, fu allora stanziata una somma di 500 mila lire.”* 


Inizialmente si è pensato di spedire i confinati in Libia ma la soluzione risulta troppo costosa. Ponza già dispone di Cameroni, di carcere e di altri spazi utilizzabili come strutture dell’apparato confinario; è però necessario un piccolo ampliamento, una sopraelevazione dei Cameroni che ha costi contenuti, appena 500 mila lire. Niente di mastodontico, una modesta cubatura di fronte a Casa Coppa, tale da occultare parzialmente la vista della terrazza. L'installazione artistica che Giuann' allestisce a ogni culata ha adesso una visibilità limitata. Lui non si dà pace; per sua fortuna, non assisterà alla tragedia del Ventesimo Secolo: l'invenzione della lavatrice.

La storia me l'ha raccontata Genoveffa D'Atri.





*(Il confino fascista, ed. Laterza)


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