Vincenzo Giardini

 



Il frontespizio del fascicolo presso l'Archivio Centrale di Stato

Il confino è un posto bellissimo, circondato dal mare: così dice mamma. Al confino avremo una casetta nostra, lì festeggeremo il mio terzo compleanno, ci resteremo almeno cinque anni, forse sei perché papà, che è già lì da qualche mese, ha partecipato a una protesta e si è beccato un’altra condanna a cinque mesi. Papà, per fortuna, è considerato pericoloso, per questo motivo è stato mandato su un’isola. "Adesso vieni a provare questo vestitino, Maria Giovanna: sarai la damigella " dice mamma; è contenta, papà tornerà qui a Lugo di Ravenna per una breve licenza, sposerà mamma e, tutti e tre, finalmente, partiremo per il confino.
Nonna dice che questa condanna a cinque anni di confino non ci voleva, papà avrebbe potuto dare un aiuto in casa, lei non sa più dove sbattere la testa con una figlia malata e altre due che si arrangiano come possono, con lavoretti come domestiche, una di loro ha anche un figlio da crescere. Ma papà ha sempre fatto di testa sua, la prima condanna se l’è presa a diciotto anni per porto abusivo d’arma: tre mesi e dieci giorni d’arresto e pena pecuniaria di seicentosei lire. Quando uscì dal carcere sembrava aver messo giudizio, faceva il suo lavoro di calzolaio e si era persino iscritto al fascio ma la nonna era preoccupata: papà andava e veniva da Faenza, passava le notti fuori casa, nascondeva carte … Lei lo cacciò di casa, lui andò a vivere da sua nonna, alla fine si è scoperto che distribuiva volantini sovversivi, che procurava fondi per Soccorso Rosso. Gli hanno dato cinque anni di confino.

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Vincenzo Giardini, nato a Lugo di Romagna il 10/5/1907, giunge a Ponza il 7 marzo 1933; a giugno dello stesso anno partecipa a una protesta con altri centocinquanta confinati, è giudicato per direttissima e condannato a cinque mesi, poi ridotti a quattro. Il matrimonio con Anna Soiani è celebrato il 26 maggio del 1934, il 30 maggio la famigliola -Vincenzo, Anna e la piccola Maria Giovanna- è accompagnata a Ponza; Vincenzo riceve il contributo di 50 lire per l’affitto di una casa, fruisce della diaria di 5 lire per sé e di un contributo per il mantenimento di moglie e figlia; esercita il mestiere di calzolaio. Nel 1935 partecipa a una protesta, è condotto a Napoli per il processo, trascorre quattordici mesi nel carcere di Poggioreale. Anna e la piccola Maria Giovanna rimpatriano a Lugo di Ravenna. Lui torna a Ponza il 20 aprile del 1936; continua ad accompagnarsi ad “individui pericolosi”, non dà segni di ravvedimento, come registrano le note stilate periodicamente.

Anna dovrebbe appoggiarsi alla famiglia del marito, che versa in condizioni di miseria; la donna inoltra richieste di contributi per sé e per la suocera al ministero dell’Interno, fa domanda per poter ritornare a Ponza, il Prefetto esprime parere sfavorevole, Vincenzo comunica di avere problemi di salute, a luglio del ’36 scopre di avere la tubercolosi, finalmente ad agosto Anna ottiene il permesso per un soggiorno a Ponza di dieci giorni. Anna riparte, la bambina resta con il padre, ha qualche problema di salute.
Il dottor Silverio D’Atri, ponzese, medico dei confinati, diagnostica che Vincenzo è affetto da catarro bronchiale e Maria Giovanna, che ha ormai cinque anni, ha anemia e catarro bronchiale; prescrive vitamine e calcio. Il clima dell'isola non è adatto a Vincenzo, che ottiene il trasferimento a Montalbano Ionico; Anna è incinta.

il certificato medico firmato dal dottor D'Atri

il dottor Silverio D'Atri, la moglie Adele, la figlia Giulia

La protesta che costa quattordici mesi di detenzione a Vincenzo Giardini coinvolge trecento confinati; 
cinquantaquattro sono processati e riportano condanne pesanti: venti mesi di carcere per i quattro organizzatori (ridotti a quattordici in appello) e quattordici mesi per i partecipanti (poi ridotti a dieci). Tra i partecipanti: Giorgio Amendola, Franc Stoka, Ruggero Fabbri; Luigi, figlio di Ruggero, fornisce l'elenco dei partecipanti e alcune delle foto che corredano questo post. 

Giorgio Amendola, con la consueta franchezza, inquadra il contesto in cui si sviluppò la protesta del 1935. Fu decisa dal direttivo comunista al confino, senza alcuna consultazione con la base, secondo le regole del centralismo democratico; fu una manifestazione unitaria a cui presero parte anarchici, socialisti, membri di Giustizia e Libertà,  non fu la risposta a misure restrittive imposte ex novo ma, come altre manifestazioni analoghe, aveva scopo preventivo, serviva a ricordare alle autorità fasciste che il militante comunista era pronto a difendere i pochi diritti di cui godeva, gli anni sull'isola non lo avevano rammollito, l'idea di un ravvedimento non lo sfiorava. Queste erano le indicazioni del partito o, quanto meno, lo erano state sino ad allora. Durante la detenzione i partecipanti alla protesta appresero che il vento era mutato, il partito chiedeva ora di evitare proteste a puro scopo dimostrativo, che avrebbero comportato l'allungamento del periodo di confino; era invece consigliato richiedere il trasferimento in terraferma o la commutazione della pena in ammonizione. 

Vincenzo Giardini trascorse due anni di confino a Montalbano Ionico; dopo la caduta del regime fascista partecipò alla Resistenza, ebbe ruoli di responsabilità nel Comitato di Liberazione Nazionale, fu sindaco di Lugo dal 1946 al 1964. Morì nel 1991.

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