di Marco Fragale
I profili biografici di tanti confinati, ricostruiti grazie allo spoglio sistematico di tutti i fascicoli personali della serie Confinati politici conservata presso l’Archivio centrale dello Stato, sono stati pubblicati in cinque volumi dedicati rispettivamente a Calabria, Campania, Sicilia, Puglia, Basilicata (Archivio Centrale dello Stato, Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Sicilia, a cura di SALVATORE CARBONE e LAURA GRIMALDI, prefazione di SANDRO PERTINI, Roma 1989, pp. 840 (Strumenti, CVI). Il volume sui confinati siciliani contiene, ad esempio, 827 biografie di confinati politici nati, domiciliati o comunque originari della Sicilia. Le biografie sono state redatte utilizzando la documentazione contenuta nei fascicoli personali delle serie archivistiche Confino politico e Casellario politico centrale del Ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati conservate all’Archivio Centrale dello Stato.
Tra le tante storie di “eroi” antifascisti italiani confinati tra Ponza e Ventotene dal 1928 al 1943, ritroviamo anche quella di Giacomo Barca, siciliano, accusato di essere un sovversivo anarchico. Nasce a Gratteri (PA) il 30 maggio 1903 da Giacomo (n. 1862) e Margherita Civello (n. 1861) in Piazzetta Garibaldi n. 1. Fu figlio unico, nato dopo la morte di una sorellina, Maria Giuseppa (n. 1900-1902). Nel 1910 muore il padre e Giacomo, all’età di sette anni, rimase da solo insieme alla madre che morirà poco dopo. Nel 1923, quindi, all’età di 20 anni, decise di emigrare in Argentina in cerca di lavoro. A Buenos Aires prese parte al movimento anarchico e nel 1925, in occasione della condanna a morte di Sacco e Vanzetti, partecipò a comizi anarchici, tenendo violenti discorsi che incitavano alla ribellione e distribuendo manifestini anarchici come recitano le carte di polizia (Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen). In particolare, subisce nel 1925 un arresto per sospetta complicità nell’attentato all’ambasciatore statunitense di Buenos Aires ma viene rilasciato, dopo quindici giorni di carcerazione e uno sciopero della fame, per mancanza di indizi. Tre anni dopo, nel 1928, va incontro a un nuovo arresto in relazione all’attentato al Consolato italiano nella capitale argentina ma anche in questa circostanza viene rimesso in libertà per mancanza di indizi. Sempre a Buenos Aires, dove esercita le attività di manovale e di imbianchino, è tra i promotori del gruppo anarchico “Umanità nova” di ispirazione malatestiana in polemica con la tendenza individualista-espropriatrice capeggiata da Severino Di Giovanni. Ne fecero parte Ermacora Fortunato Cressatti, Lino Barbetti, Edoardo Bersaglia, Enrico Galassi e altri. Nel 1931, in conseguenza delle misure restrittive adottate nei confronti degli emigrati politici dal nuovo governo argentino, è costretto a passare in Uruguay, a Montevideo, dove collabora, tra gli altri, con Luigi Fabbri, promuovendo un gruppo che si sarebbe dovuto chiamare “I Liberi”. Ma nel novembre 1933 fu colpito da decreto di espulsione dal territorio dell’Uruguay. Fatto rimpatriare il 14 dicembre e giunto a Napoli il 26 successivo, fu fermato e condotto nelle carceri di Palermo in attesa di provvedimenti di polizia in qualità di elemento “compreso nello elenco dei sovversivi classificati attentatori o ritenuti capaci di atti terroristici”. Viene sottoposto dapprima dalla Commissione provinciale di Palermo al provvedimento dell’ammonizione in quanto “elemento pericoloso per l’ordine Nazionale dello Stato”. Il 1° marzo 1934 poi, venne sottoposto ad ammonizione per 2 anni e fatto rientrare a Gratteri, in quanto considerato pericoloso in linea politica. Ma il 18 ottobre 1934 fu nuovamente arrestato in quanto, benché ammonito, continuò a mantenere frequenti rapporti epistolari con elementi anarchici – tra i quali un personaggio della notorietà di Ugo Fedeli – dell’Italia, dell’America del Nord, dell’Argentina, dell’Uruguay, della Francia e della Spagna, dai quali riceve anche sovvenzioni in denaro, l’ammonizione si trasforma in assegnazione al confino di polizia in Ventotene per 5 anni con ordinanza del 22 novembre 1934. Durante il confino – trascorso tra le colonie di Ponza (dal 1934 al 1938), Tremiti e Ventotene (dal 1938 al 1940) – contrasse matrimonio. Alla scadenza dei primi cinque anni, la Commissione provinciale di Latina, competente per territorio, lo riassegna al confino per un altro quinquennio in considerazione della “cattiva condotta politica in colonia”. Il 23 agosto 1943 fu trasferito nel campo di concentramento di Renicci Anghiari (AR). Liberato durante l’occupazione tedesca, si tenne nascosto a Roma per dieci mesi benché ricercato dalla polizia fascista come elemento pericoloso. Il 4 settembre 1944 ritornò a Gratteri con la moglie e la figlia. Non si conoscono il luogo e la data della morte ma solo un ravvedimento finale e la cancellazione dai registri dei residenti del Comune di Gratteri a partire dal 1936 per emigrazione a Ponza (cfr. S. Carbone, L. Grimaldi, Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Sicilia, Roma 1989, pp. 98-99).
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