Margherita Durand Rossi

 Margherita Durand è la compagna di Cesare Rossi dal 1926; nel 1941 diventa sua moglie. La lettera che scrive -o, quantomeno, firma- è indirizzata al giornalista Guglielmo Giannini.



 

Ponza, 23 giugno 1941

Egregio Signor Giannini,

Grazie per il volume che mi avete inviato e che leggo con molto piacere. La lettura, purtroppo, è il nostro unico passatempo su questo scoglio ove la nostra esistenza diventa sempre peggiore e addirittura impossibile.

Siamo obbligati a restare sino alle otto di sera tappati in casa, perché il sole dardeggia ovunque – e quando non c’è il sole c’è il vento – e non si trova un albero, in tutta l’isola, a pagarlo a peso d’oro! Poi le mosche, le pulci, le zanzare, le formiche ci assediano notte e giorno. Il paese non offre il benché minimo svago: né un cinema, né un caffè decente, né un luogo per passeggiare, almeno di arrampicarsi, in mezzo ai ciottoli, su sentieri di capre.

La vita è più cara che a Roma e tutto – ossia quel poco che riesce ad arrivare col piroscafo, che giunge quando gli pare e non più di due volte alla settimana – viene dal continente, sicché il prezzo di ogni genere raggiunge prezzi proibitivi ed astronomici. In quanto al pane – 200 grammi a testa, uno dei pochissimi Comuni con tale basso regime – è semplicemente immangiabile, perché non si sa di cosa composto: magari fosse di puro granturco come a Roma! Noi siamo costretti a farlo abbrustolire per poi mangiarne solo la crosta; il resto biscotti di difficile ricerca.

Aggiunga che l’ambiente non è proprio quello nostro; gente buona in fondo ma rozza, pettegola, fiacca: è assolutamente impossibile che noi – specie quando, a fine Agosto, ricominceranno i venti impetuosi – si rimanga qua. La casa – ed è una delle migliori – è costruita con finestre e porte tutte d’infilata; quindi correnti micidialissime, alle quali non si può rimediare. La mamma, tanto delicata dei bronchi e dei polmoni, rischierebbe di morirvi. In quanto a me che – come ricorderete – soffro di crisi d’appendicite, qui sarei nell’impossibilità di farmi curare perché non esiste il menomo ospedale, né pronto soccorso o qualsiasi chirurgo, e se si deve attendere il piroscafo che viene – quando il tempo è bello – ogni tre giorni, l’intervento chirurgico non giungerebbe in tempo.

Naturalmente ci dorrebbe molto lasciare qui solo Cesare, dopo tanti anni di separazione. Egli per suo conto conosce molto bene la sua situazione giuridica e non ignora che beneficia – unico negli annali penitenziari e penali – di un trattamento di estremo favore.

Dice che finché non si liquida quella pendenza di pena che deve ancora scontare, non potrà essere del tutto libero.

 

Il 27 agosto dell’anno prossimo si maturano i tempi del suo diritto ad avere la liberazione condizionale degli ultimi 5 anni che dovrebbe ancora scontare. Ma è chiaro che se la guerra finisce presto ci sarà, con la vittoria, un’amnistia.

Ma, intanto, noi non possiamo vivere qua. Ho pensato, perciò, di rivolgermi a Voi, che ora so vecchia conoscenza dell’Eccellenza Senise, per vedere se è possibile ottenere un’altra residenza, per noi e per Cesare.

Egli teme, però, che fissando a noi e a lui un’altra dimora, per il fatto che si tratterebbe di un paese più importante ed in continente, l’Autorità, che qua lo lascia completamente libero, appunto perché è convinta che non ha più niente da temere da lui, dovrebbe (se non altro per gli occhi del pubblico) imporgli limitazioni a base di sorveglianza, piantonamenti, visite notturne eccetera. Tutte cose che lui non si sente più di subire; e che d’altronde costituirebbero una seccatura anche per noi. Teme assai anche lo spostamento da Ponza alla residenza scelta, cioè gli seccherebbe essere accompagnato da carabinieri ed agenti. Noi comprendiamo perfettamente il suo stato d’animo in materia e dobbiamo tenerne conto. Non sarebbe possibile ottenere un cambiamento di residenza scegliendo un paese più cristiano per noi, ma senza infliggere nel contempo restrizioni a Cesare? In fondo ora questa latitudine di trattamento si basa tutta sulla fiducia nella sua lealtà. Perché non dovrebbe sussistere anche se egli stesse altrove? Se proprio fosse indispensabile dimorare ancora per un anno in un’isola si potrebbe scegliere Ischia, che offre certo maggiore confort.  Non ci fu per un certo tempo confinato Curzio Malaparte? Non potreste, Egregio Signor Giannini, perorare la nostra causa presso l’Eccellenza Senise, in modo che a sua volta questa ottenga l’assenso del Duce, Ministro dell’Interno? Noi contiamo su di Voi.

Quello che la mamma e io torniamo a raccomandarle è che Cesare non ci rimetta-nel cambio- in serenità e pace.

Fra gli altri inconvenienti, restando Cesare a Ponza, c’è questo: che dobbiamo tardare ancora il nostro matrimonio. Non potrei sposare e poi piantarlo.

La mamma e Cesare si uniscono a me per inviarvi i nostri più cordiali saluti e ringraziamenti anticipati.

Margherita Durand


Commenti