I figli dei confinati

 

Maria Di Fazio

Emanuele Vittorio

Emanuele Vittorio è dentista, fondatore delle Antiche Cantine Migliaccio nonchè figlio di confinato.

 Quando gli ho chiesto di parlare del padre  Gino, Emanuele ci ha pensato su e ha scosso la testa: "Mio padre ha avuto una vita impegnata, dopo la guerra ha partecipato attivamente alle Quattro  Giornate di Napoli; non ricordo che mi abbia mai parlato del confino, non era tipo  da rievocazioni davanti al caminetto."

I documenti descrivono infatti Gino Vittorio come un uomo d'azione, che viene alle mani con Giorgio Amendola, che imbraccia il mitra e spara durante le Quattro Giornate.

 

Anche Meta Stoka ricorda che, nel dopoguerra, il padre Franc era troppo impegnato nella militanza  politica e nella resistenza slava per potersi permettere di rievocare il passato.

Luigi Fabbri, invece, riferisce che suo padre Ruggero parlava con piacere degli  anni trascorsi a Ponza,  fondamentali nella sua formazione culturale e politica. "Osservando i biglietti scritti in quegli anni, si capisce che mio padre si limitava  a firmare con mano incerta i testi scritti da altri; aveva frequentato appena le elementari, sull'isola partecipò alle lezioni tenute dai compagni più istruiti,  studiò la storia, discusse, si confrontò. Dopo la guerra si stabilì in Calabria, partecipò alla vita politica e sindacale e mise a frutto gli strumenti acquisiti al confino."

Giorgio Amendola, che fu uno degli insegnanti, scriveva di aver incontrato non poche resistenze ad introdurre argomenti che venivano considerati borghesi ed estranei alla  formazione del vero militante comunista; dovette insistere per poter inserire nelle sue lezioni la  letteratura francese dell'Ottocento.



Il duca Luigi Silvestro Camerini non rivelò mai ai figli di essere stato confinato. "Fu mia madre a parlarmene, so quasi nulla di questa storia", ammise Fulceri Camerini alcuni anni fa. Ponza, per fortuna, serba tante tracce del passaggio del duca e le ha offerte con generosità. Sono emerse testimonianze, luoghi (il giardino creato dal duca, pressoché intatto), reperti (un vecchio fucile sub arrugginito che il duca regalò all'amico Adalgiso Coppa, foto, biglietti). Parallelamente al recupero delle memorie ponzesi, una parente dei Camerini ritrovava a Roma le lettere scritte  dal duca durante l'anno di relegazione, indirizzate alla cugina Lucilla. Le lettere a Lucilla sono un documento straordinario: non memorie scritte a distanza di anni ma racconto in presa diretta di un'esperienza di vita.  

Luglio 2011: il Comune di Ponza affigge una targa dinanzi alla casa in cui abitò il duca Camerini. Da sin: Maria Pagano (delegata alla Cultura), Maria Civita Coppa (proprietaria della casa), Fulceri Camerini

Accadeva nel 2011; Gino Usai propose un incontro sul confino;  Fulceri e Lorena Camerini, due dei tre figli del duca, assicurarono la loro presenza. Coinvolgemmo gli appassionati e studiosi di storia locale; Sandro Russo rispolverò diapositive di Sri Lanka e di Negombo, dove il duca aveva soggiornato a lungo; Giosuè Coppa e Ernesto Prudente, due vecchi ragazzi della Dragonara che avevano conosciuto il duca, grandi affabulatori, avrebbero provveduto a dare il ritmo giusto, ad evitare che la serata prendesse la piega di una noiosa lezione di storia. Gino Usai curò la regia dell'evento e, da artista, si preoccupò della scenografia: coprire le scritte sui muri del Lanternino, occultare gli intonaci scrostati, dare le indicazioni per la sistemazione delle luci e del telone. Ci sguinzagliò alla ricerca di piante, di  bandiere, di drappi; dovemmo trasportarli e sistemarli; nel pomeriggio eravamo stremati.


Fulceri Camerini e Maria Civita Coppa nel giardino realizzato dal duca, sulla Dragonara


Quando Gino Usai fu moderatamente soddisfatto dell'allestimento e ci diede il permesso di andare a fare una doccia, mi avviai stancamente verso casa. Ripassavo mentalmente ciò che avrei detto di lì a poco, scucivo, tagliavo, ricucivo frasi senza riuscire a trovare il tono giusto per descrivere  l'isola alla fine di luglio del '43: era il porto da cui il Santa Lucia salpò per il suo ultimo viaggio ma anche un riparo  sicuro che il duca e Zaniboni non volevano lasciare; era luogo di relegazione ma anche di visioni idilliache, " l'omerica isola delle sirene" per dirla con le parole del duca; era scenario di tragedie ma anche, probabilmente, dell'amore nascente tra il duca e Bruna Zaniboni. Avevo tanto materiale a disposizione (le lettere a Lucilla, i documenti d'archivio, i ricordi raccolti in giro) ma non riuscivo a farne una sintesi decente. 



La voce squillante di Maria Di Fazio interruppe i miei pensieri; Maria, morta nel 2016, ha sempre contribuito alla mie ricerche, qualunque fosse la tematica. Quel pomeriggio, affacciata alla balconata di casa, nel palazzo del Comune, mi annunciò che aveva qualcosa da mostrarmi:  aveva appena ritrovato una vecchia borsetta con le lettere che il suo Ninotto le aveva scritto da fidanzato, mentre era sotto le armi. Una lettera, scritta nell'estate del'43, conteneva le parole che stavo cercando, descriveva perfettamente la situazione in cui Ponza si trovava in quei giorni: una bolla sospesa tra la tragedia e la speranza.

Qualche ora dopo, sul Lanternino, la voce calda di Franco De Luca ne diede una lettura emozionata ed emozionante. 





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