Il Primo Maggio dobbiamo vestirci bene perchè staremo insieme a belle persone.
Il Primo Maggio del 1929 Guido Galimberti (1906-1944; nella foto in alto, a Ponza), bergamasco confinato a Ponza, indossa un bel cardigan stile casual, annoda una sciarpetta al collo, prende qualcosa da leggere e va a fare quattro passi; siede su uno spuntone di roccia, apre il libro e si mette in posa. Il panorama alle spalle di Guido è bellissimo ma quel che conta, in questa foto, non si vede o si intravede appena. Non si vedono i militi della garitta, termine della Via del Confino, affiancata da un fascio littorio, lungo la attuale Panoramica; qui molti confinati si fanno fotografare, ben vestiti e col libro in mano, in chiaro segno di sfida verso i militi in divisa e moschetto, non avvezzi alla lettura. Il libro che Guido legge è La Madre di Gorki, storia di una donna che aderisce al socialismo sulle orme del figlio, prende parte alle lotte operaie e, idealmente, diventa madre di tutti i combattenti.
La sciarpetta nera è una lavalliere. La lavalliere si ritrova spesso, nelle foto dei confinati: è un omaggio all’esperienza anarchica della Comune di Parigi; nasce dalla bandiera nera dei comunardi, tagliata a strisce. Col tempo, la lavalliere stempera il suo significato di simbolo anarchico e diventa, più genericamente, espressione di anticonformismo; come tale ne fanno uso gli artisti, i bohemien.
È il Primo Maggio: nelle mense di Ponza si prepara pranzo da giorno di festa, le compagne confinate hanno cucito per il piccolo Domenico Cuomo un bel bolerino, gli regalano soldini e caramelle: il bimbo è la mascotte della mensa dint’a Padura di cui è spesso ospite. La sua famiglia non teme di esporsi, è già nota ai militi e al commissario di polizia: il padre di Domenico ha idee socialiste, non ha la tessera del PNF; la sorella di Domenico, Sisina, è fidanzata col confinato Sani Fioravante detto Parigi.
Sul corso Principe di Napoli, nella casa della famiglia Scarpati, zia Filomena D’Arco spalanca la finestra e pettina la piccola Civita, ripassa le ciocche con un dito intinto nel succo di limone, forma i boccoli, sistema sulla testa un fiocco vaporoso che ha trovato in casa. La sorella Maria irrompe, chiude la finestra: “Filome’, si’ asciuta pazza? ’Nu fiocco rosso ’ncapa ’a criatura? Vuoi farci passare per sostenitori dei confinati? Lo sai che vestirsi a festa il primo maggio è vietato!?”
Nel 1939 i confinati vengono trasferiti a Ventotene; tra il ’41 e il ’43 Ponza ne ospita pochi altri. Oggi, restano sull’isola tracce delle garitte, ricordi, testimonianze, la Via del Confino quasi integra.
Chiedo ad Assunta Scarpati conferma a un mio vago ricordo e lei regala un racconto intenso, toccante, un messaggio di speranza, di condivisione e di vittoria oggi più che mai necessario. La ascolto rapita, grata; parla di persone e di vicende che tutti i ponzesi hanno conosciuto e ricordano.
Vincenzo Bosso
Siamo negli anni Ottanta; Vincenzo Bosso, comunista della prima ora, è malato; i vecchi compagni non rinunciano a festeggiare il Primo Maggio con lui. Temistocle Curcio e la moglie Carmela, Maria Picicco “la mamma dei confinati” si incamminano lungo la Via del Confino, percorrono il Canalone, giungono alla Dragonara. Arrivano i giovani, la seconda e la terza generazione che condividono quei valori, quelle idee. Vincenzo e la sorella Candida estraggono da un cassetto la lettera che il cognato Carlo Fabbri, confinato e partigiano, scrisse alla figlia Teresa.
Giuseppina Bosso e Carlo Fabbri, confinato e partigiano
– Andavamo tutti su da Vincenzo e ogni anno era bello ed emozionante – ricorda Assunta.
– Tutte le persone di sinistra, del PD, si ritrovavano lì. Vecchi come Temistocle e Carmela, Nonna Picicco, tutti vecchi compagni. Poi c’erano i giovani: Mariano, Gianpiero, Annalisa, Gino, Antonio e altri. Poi c’erano i giovanissimi: Beniamino, Vincenzo, Lucia, Ciro, tanti amici della mia età… quanti eravamo! Tre generazioni a confronto. Tutte le volte leggevamo la famosa lettera e il primo anno in cui organizzammo questa cosa toccò a me leggere. L’emozione mi rompeva la voce, era difficile… ma era bellissimo.
Mi ricordo un anno in particolare, quando alle elezioni riuscimmo a sconfiggere il colosso Forza Italia. Facemmo uno striscione lungo otto metri, alto un metro e sopra scrivemmo “Abbiamo sconfitto il padrone”. Lo mettemmo sopra il cortile, in modo che si vedesse dal porto. I compagni anziani erano felicissimi! All’improvviso Temistocle disse “Volete vedere che se prendiamo il binocolo li troviamo tutti che guardano verso su? Anche loro con il binocolo”. E così fu. Erano due ore belle, conviviali, istruttive, del ricordo… ma pregne di dolore e di sofferenza anche… di coraggio e di consapevolezza. Bello, bellissimo. E a me toccava sempre fare le ciambelle di patate!”
Straordinari, ’sti giovani vecchietti. Possono permettersi di indossare il vestito di sempre, quello che si sono cuciti addosso quando avevano quindici, venti anni, e gli sta ancora, gli cade a pennello. Gli anni e le malattie provano ad acciaccarli ma non spengono l’entusiasmo, gli ideali; chiacchierano, rievocano, mangiano ciambelle, srotolano un mega-striscione e cantano vittoria.
Temistocle, hai ragione: ovunque siate, si dovrà puntare il binocolo verso di voi; non si scorgono in giro esempi di pari coerenza, coraggio, onestà, generosità.
Assunta Scarpati, che ci ha lasciati nel 2023, commentò:
“Non ce la faccio a non alzarmi in piedi quando ascolto il brano El Pueblo Unido Jamas Serà Vencido degli Inti Illimani…mi escono i lacrimoni e mi batte il cuore… “El Pueblo unido jamas sera’ vencido”… Lo voglio dedicare ai vecchi compagni….Grazie Rita per aver suscitato bei ricordi. Grazieeeee!”





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