Cinquanta miglia tra Ponza e Procida

 Cinquanta miglia tra Ponza e Procida

di Rita Bosso

con un articolo di Raffaella Salvemini

postfazione di Tobia Costagliola


Cinquanta miglia

Scuola senza alunni, alunni senza scuola

La mia Procida- Silverio Vitiello

La mia Procida- Gianco

Foto di classe

La mia Procida- Aniello

La mia Procida- Enzo

La mia Procida- Dino

La casa dei guaglioni

La mia Procida- Beniamino

La mia Procida- Enrico

La mia Procida- Milord

La nostra Procida- Ricciolino e Cristofaro

Cornuti e mazziati

L’ISTRUZIONE NAUTICA A PROCIDA PRIMA DELL’UNITÀ D’ITALIA

Commenti da Procida

Postfazione

La presentazione del libro a Ponza

Ponza dà l'avvio al gemellaggio con Procida

Vale più un pescetiello a Procida e a Miseno ...

Dallo svantaggio al diploma

Nei ricordi dei proff



Cinquanta miglia





Cinquanta miglia separano Ponza e Procida; Ventotene è più o meno a metà strada.
A Ponza, ci sono giorni in cui Ischia appare vicinissima e Procida, se non fosse più bassa, si vedrebbe allo stesso modo.
A Forio, quando il cielo è  incendiato dal tramonto, “all’orizzonte navigano isole” (Enzo Striano)
Da Procida si scorge “non molto lontano, nel mare, la forma azzurro-purpurea dell’isola d’Ischia. Ombre argentate d’isole più lontane.” (Elsa Morante)


foto Michelangelo Ambrosini 


Tra il 1965 e il 1980 parecchi ragazzi di Ponza e di Ventotene hanno percorso quel tratto di mare più volte all’anno, per alcuni anni. Qualcuno aveva finito la scuola già da parecchio, altri partirono dopo aver conseguito la licenza media; alcuni non avrebbero potuto proseguire gli studi e attendevano di collocarsi nel mercato del lavoro dove, giocoforza, avrebbero occupato posizioni di bassa manovalanza; altri cercavano una strada per proseguire, purchè non fosse troppo onerosa per le famiglie.
Alcuni di quegli ex ragazzi, oramai nonni, hanno ricostruito la vicenda; un contributo significativo è arrivato da Procida e da Monte di Procida.
Ma come comincia, questa storia? Quali vicende portarono Procida ad avere una scuola senza alunni, mentre Ponza e Ventotene avevano tanti alunni senza scuola? 


il portone dell’Istituto Nautico di Procida


 La scuola pubblica è figlia dell’Illuminismo; non potrebbe non esserlo: come si esce dallo ’stato di minorità’ se non attraverso l’istruzione?
Nel Regno di Napoli dopo il 1767, anno dell’espulsione dei Gesuiti che detengono il monopolio in materia di istruzione, vengono istituite alcune scuole pubbliche. Particolare attenzione è dedicata alle scuole professionali; fiore all’occhiello del sistema scolastico borbonico sono gli istituti nautici, alla cui istituzione dà impulso Acton in persona: le esigenze della navigazione richiedono ormai personale specificamente addestrato, non più la semplice trasmissione di pratiche e saperi empirici. Nascono gli istituti nautici di Procida, di Sorrento, il Convitto San Giuseppe a Napoli che accoglie gli orfani di marinai; per loro, al termine degli studi, c’è l’assunzione sugli sciabecchi reali.
Si tratta di esperienze singole, nate nella capitale  e in alcuni piccoli centri grazie al concorso di  circostanze fortunate; nel resto del  regno non c’è nulla, la quasi totalità della popolazione è analfabeta.



appunti di Termodinamica


La foto mostra gli appunti di Termodinamica di un vecchio studente ponzese; nato a Ventotene nel 1924, frequentò le elementari a Ponza e gli ultimi due anni di Istituto Nautico a Gaeta; nel mezzo, cinque anni alla “scuola” del prete don Luigi Parisi dove si apprendeva tanta grammatica, latino, matematica e ci si preparava all’esame di ammissione all’ultimo biennio di una scuola superiore.

All’epoca, con la quinta elementare si concludeva l’esperienza scolastica della maggior parte dei bambini; i figli di famiglie benestanti proseguivano gli studi in collegio.  

La scuola di don Luigi Parisi consentiva a ragazzi di condizioni modeste, ma dotati e volenterosi, di proseguire gli studi; l’uscita dal nido era ritardata, le famiglie limitavano la spesa per il mantenimento in collegio o a pensione presso conoscenti o parenti. Le famiglie erano numerose e, spesso, potevano concedere a un solo figlio la prosecuzione degli studi; in genere privilegiavano un maschio. Si affrontavano sacrifici, si stringeva la cinghia pensando al futuro.

Ponza- scuola d’avviamento


Negli anni Cinquanta fu istituita la scuola d’avviamento professionale ad indirizzo marinaro. Si studiavano Tecnica Nautica, Diritto Professionale, Ittiologia marina. I maschi imparavano a fare i nodi marinari, a usare le bandiere segnaletiche e l’alfabeto Morse. L’esperienza si concluse nel 1963 con l’istituzione della scuola media unica obbligatoria.
L’iscrizione a una scuola superiore, il conseguimento di un diploma o di una laurea, continuavano a collocarsi oltre l’orizzonte degli eventi per la maggior parte dei ragazzi di Ponza. 



Ponza- scuola d’avviamento 1955


Scuola senza alunni, alunni senza scuola



La storia è lunga, non è scritta in nessun libro; la racconta con disponibilità e rigore il capitano Tobia Costagliola, procidano trasferito a Ravenna, in servizio prima nella flotta Lauro poi nella Ferruzzi, autore di diversi libri sulla navigazione.


foto Michelangelo Ambrosini


Le scuole per formare maestranze marittime “dei gradi minori della Marina Mercantile da traffico e da pesca” risalgono ad antica data; durante il fascismo il consorzio delle scuole fu trasformato in Ente Nazionale per l’Educazione Marinara (ENEM). Alla fine del corso triennale si conseguiva il titolo di padrone marittimo o di motorista o di maestro d’ascia/ carpentiere. Le scuole beneficiavano di cospicue sovvenzioni. 

L’Enem istituì trentadue sedi; a Procida la scuola Paolo Thaon de Revel, con sede principale a Torre del Greco, rivaleggiava con lo storico Istituto Nautico Francesco Caracciolo, fondato nella seconda metà del Settecento. Entrambe avevano come bacino d’utenza la popolazione studentesca maschile delle isole di Ischia e Procida interessata ad intraprendere professioni marinare.
Le scuole Enem divennero poi scuole professionali, precisamente Istituti Professionali per le Attività Marinare (IPAM).


Intorno alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso l’IPAM di Procida rischia la chiusura per carenza di iscrizioni.
La chiusura di una scuola è sempre un momento triste, di impoverimento per tutto il territorio sebbene non comporti la perdita di posti di lavoro; è ancor più triste se la scuola interpreta la vocazione marinara del territorio, se offre agli alunni una qualifica professionale richiesta e ben remunerata. Ma la scuola professionale di Procida è ben altro: è una creatura nata sull’isola, nutrita e cresciuta con passione dagli isolani. Figurarsi se si può assistere passivamente alla chiusura!


Almerindo Manzo


Tocca ad Almerindo Manzo rimboccarsi le maniche ed escogitare una soluzione. Il personaggio è interessante, e ben lo descrive Giacomo Retaggio in Procidani (quasi) dimenticati (Fioranna ed.).
Socialista, nel 1920 ha fondato, insieme al sacerdote Vincenzo Scotto Di Carlo, la scuola marinara, a cui si accedeva dopo la scuola elementare. Durante il fascismo hanno provato più volte a chiuderla o a trasformarla; una volta il Comune si è rifiutato di pagare l’affitto dei locali sostenendo che le vibrazioni dei macchinari rischiano di danneggiare la statica dell’edificio; un’altra volta il podestà ha tentato di sostituirla con una scuola d’avviamento. Non giova alla scuola l’essere riconosciuta come creatura di Manzo e di don Vincenzo, noti antifascisti.
La scuola si è sviluppata a metà degli anni Venti, quando l’Istituto Nautico è stato chiuso (la sezione macchinisti sarà riaperta dopo qualche anno, la sezione capitani dovrà attendere sino al 1952). Nel frattempo, non essendovi sull’isola altre scuole superiori, qualche ragazzo ha studiato privatamente sotto la guida di un sacerdote, qualcuno si è trasferito in collegio in terraferma.

Almerindo Manzo, sindaco di Procida dal 1947 al ‘49, negli anni Cinquanta è direttore generale dell’Enem e, in questo ruolo, si dedica con passione allo sviluppo delle scuole marinare viaggiando da una sede all’altra, collocandovi valenti insegnanti procidani.
Procida assume un ruolo di capofila tra le scuole marinare.
Sull’isola, la scuola prospera sotto la direzione del capitano Francesco Capodanno.
Nel 1964 viene inaugurata la nuova sede alla presenza dell’onorevole Giovanni Leone; è l’occasione per allestire una bella mostra di modellismo navale ed esporre pezzi di motore realizzati dagli alunni nelle officine-laboratorio.


Tuttavia, nel 1965, l’IPAM Paolo Thaon de Revel di Procida sta per chiudere per mancanza di iscritti.
Manzo è stato più volte candidato sindaco e solo una volta è uscito vittorioso dalla competizione elettorale; ha carisma, i suoi comizi infiammavano le piazze ma soffre di un eccesso di stima da parte dei suoi paesani, e con la stima non si vincono le elezioni. Quando si paventa la chiusura dell’IPAM, però, vengono meno tutte le divisioni ideologiche, la popolazione fa fronte comune; Manzo trascina dalla sua parte l’ex candidato rivale, il prete, l’intera isola.  L’ipotesi di chiusura deve tramutarsi in opportunità di sviluppo, per Procida e per altre isole.


Da buoni naviganti, i procidani scrutano l’orizzonte; non verso Capo Miseno e Napoli, nessun ragazzo della terraferma verrebbe a frequentare l’IPAM di Procida; non verso Ischia, che già manda i suoi ragazzi a Procida; i procidani guardano a occidente, a quelle due strisce nere che si stagliano all’orizzonte nel rosso infuocato del tramonto.
Ponza e Ventotene distano una manciata di miglia da Procida e non hanno scuole superiori. Le famiglie benestanti mandano i figli in collegio, a frequentare il liceo e l’università; le famiglie con minori risorse optano per percorsi formativi più brevi, qualche ragazzo frequenta il Nautico ma, ovviamente, va a Gaeta, più vicina e più collegata con l’isola natìa. Occorre dirottare questi alunni da Gaeta a Procida, occorre recuperare gli alunni che non andrebbero oltre la licenza media o che sono già usciti dalla scuola. Occorre, in definitiva, proporre degli incentivi economici.
Almerindo Manzo, uomo politico, ex direttore generale ENEM, sa come muoversi, sa a quali porte bussare; le scuole professionali, poi, fruiscono da sempre di buoni finanziamenti.


Ogni settimana un piroscafo della Span parte da Ponza, sosta a Ventotene, a Ischia, a Procida, infine raggiunge Napoli; il giorno dopo fa il percorso inverso.
Il professor Arcangelo Esposito gestisce la pensione Eldorado e sta avviando un’altra struttura ricettiva. Entrambe restano inattive da settembre a giugno, quando arrivano i primi turisti. 

Un mercoledì il professor Esposito sale sul piroscafo della Span; dopo circa sei ore giunge a destinazione. Dovrebbe cercare interlocutori istituzionali (il sindaco, il direttore didattico, il prete), illustrare il progetto, tirarla per le lunghe; ma è procidano, di porti ne capisce, sa pesare con un’occhiata gli uomini che si aggirano in banchina. Appena mette piede sul molo Musco individua il suo referente, Giuseppe Costanzo detto Baffone, capo della cooperativa facchini; si presenta, gli illustra il progetto.
Baffone dà la sua adesione, destina un angolo del magazzeno della cooperativa facchini a segreteria della scuola; raccoglie subito tredici iscrizioni, tra cui quella del figlio.
I ragazzi di Ponza e Ventotene potranno andare a convitto a Procida e frequentare il triennio dell’IPAM; alloggeranno alla pensione Eldorado e alla pensione Savoia. Vitto e alloggio sono gratuiti.
Dopo il triennio potranno accedere all’ultimo biennio dell’Istituto Nautico di Procida; sceglieranno se restare all’Eldorado o al Savoia, oppure se prendere in affitto un appartamento; il mantenimento sarà a carico delle famiglie. 

Giuseppe Costanzo


La mia Procida- Silverio

Silverio Vitiello


Éuna calda mattinata dei primi d’ottobre, sono quasi le dieci. La nave proveniente da Ponza attracca al porto di Procida; in genere non sbarca nessuno, salgono parecchi procidani diretti a Napoli. Ma oggi, martedì cinque ottobre 1965, una fila di ragazzi percorre la stretta passerella del Mergellina; hanno tanti bagagli, l’aria assonnata e un po’ spaesata. Sul porto li accoglie il professor Arcangelo Esposito.
I ragazzi sono partiti da Ponza alle quattro e mezzo; l’eccitazione e l’agitazione li hanno tenuti svegli, hanno impedito di raggiungere le panche della terza classe, stendersi e recuperare le ore di sonno perse. Qualcuno esce dall’isola natìa per la prima volta; c’è chi ha lasciato gli studi già da qualche anno e, grande e grosso, già pronto per andare a lavorare, non fa salti di gioia all’idea di riprendere in mano i libri; c’è chi ha appena finito le scuole medie, è più bambino che ragazzo, e aveva messo in conto di interrompere gli studi; qualcuno aveva in mente di iscriversi a una scuola superiore, ma non a Procida.


I ragazzi che sbarcano a Procida sono i pionieri di un’esperienza che inizia oltre mezzo secolo fa, interessa anche i cugini ventotenesi, dura una quindicina d’anni e si conclude quando è soppresso il collegamento Ponza-Napoli; Ponza e Ventotene, che al tramonto quasi si toccano con mano, diventano da quel momento quasi irraggiungibili dalle isole partenopee.
I ragazzi di Ponza vanno a frequentare il primo anno dell’Istituto Professionale per le Attività Marinare.
Il primo a parlarne è Silverio Vitiello ‘u Sorice.


Silverio ricorda: “A livello sociale e di  istruzione, i procidani erano molto più avanti di noi. Sull’isola erano in funzione alcune scuole, tra cui il Nautico dalla tradizione gloriosa, che ha formato generazioni e generazioni di gente di mare: capitani, armatori. I procidani hanno girato il mondo, noi ponzesi abbiamo girato il Mediterraneo; loro come marittimi, noi come pescatori. Agli amici procidani che hanno avuto il riconoscimento prestigioso di Città della Cultura, faccio tanti auguri; rappresentano tutte le isole. Auguro che tutto il mondo possa conoscere la cultura di Procida: ne ha da vendere!”


Silverio Vitiello, dopo  il diploma, si imbarca come ufficiale di macchine su una petroliera della Gulf, battente bandiera liberiana, e vi rimane fino al 1981. Non ha mai rimpianto la scelta, che gli ha consentito di cominciare a guadagnare bene e presto e di vedere tanti luoghi; poi, dopo il matrimonio e con l’arrivo dei figli, ha cercato una soluzione lavorativa che gli consentisse di essere presente in famiglia. 


Silverio si mantiene in contatto con i vecchi compagni di classe; torna a Procida ogni anno per assistere alla processione del Venerdì Santo ed è accolto con grande affetto: “Manca solo la banda”, dice.


La mia Procida- Gianco

Antonio Aversano (Gianco)


Gianco ricorda con piacere gli anni trascorsi a Procida. Sbarca sull’isola nel 1967,  frequenta il primo anno dell’Istituto Professionale per le Attività Marinare; per i compagni di classe è Aversano Antonio, il nome d’arte è ancora di là da venire.
Ha finito la scuola media già da qualche anno, di continuare gli studi non ha molta voglia ma in famiglia insistono, soprattutto la sorella Maria gli chiede di cogliere questa bella opportunità che viene offerta ai ragazzi di Ponza: un percorso formativo adatto a chi è nato su un’isola e vuole restare a contatto con il mare, vitto e alloggio gratis a Procida per tre anni. 


Gianco alla fine cede. A Procida, distribuiti tra la pensione Eldorado e la pensione Savoia, alloggiano oltre sessanta ragazzi ponzesi e ventotenesi. Dopo la scuola si incontrano, organizzano partite, vanno in giro per il paese; i ragazzi di Procida, poi, sono accoglienti, cordiali. Quando la nostalgia di casa diventa più acuta, ci si consola pensando che manca poco alle vacanze, al mercoledì in cui la nave della Span proveniente da Napoli ormeggerà, imbarcherà tutta la combriccola  e, nel giro di cinque o sei ore, riporterà al paesello natìo. Salvo imprevisti. 


Il 23 dicembre il tempo è proprio brutto; sballottato dalle onde, attracca al porto di Procida ‘u vapore. Il comandante Carlo Giordano è preoccupato, il mare si ingrossa sempre più; imbarca i ragazzi, i loro bagagli, la voglia di tornare a casa dopo tre mesi e di fare Natale in famiglia: un carico pesante e prezioso, ma il mare non vuole sentire ragioni. Il comandante può scegliere: tornare a Napoli oppure proseguire verso Ischia. Un barlume di speranza lo spinge verso il porto di Ischia, che offre riparo da ogni vento; ormeggia, valuta la situazione per l’ennesima volta, raggiunge il salone, dà ai ragazzi la notizia tanto temuta: la nave non proseguirà per Ponza.
Di spazio per dormire ce n’è in abbondanza, tra le panche della terza classe e  le poltroncine della prima ma, per mangiare, come si fa?
A bordo c’è il furgone di Vincenzo Esposito che a Ponza, insieme alla moglie Ilda, gestisce un negozio di frutta; Vincenzo è sceso a Napoli per i rifornimenti natalizi e ha caricato ogni ben di Dio: provoloni, salumi, stoccafisso… “Guagliu’, oggi siete tutti miei ospiti!” annuncia con voce tonante, e imbandisce una ricca tavolata. La delusione e la tristezza spariscono immediatamente, il salone dell’Isola di Ponza ospita un allegro, chiassoso, abbondante pre-cenone natalizio.
Il giorno dopo, il 24 dicembre, il mare si placa; i ragazzi arrivano a Ponza appena in tempo per il cenone in famiglia.

“E’ stata una bella scuola, si imparava ad andare per mare, si faceva tanta pratica. E si usciva di casa, soprattutto: all’epoca non era così semplice. Ogni posto di mare dovrebbe offrire ai suoi ragazzi una formazione simile” osserva Gianco.


Dopo il diploma, Gianco cominciò a navigare con una compagnia italiana su navi graniere.
Faceva la spola tra la regione dei Grandi Laghi in  Nord America e la Russia. Le soste a Odessa, a Leningrado erano piacevoli, i russi accoglievano l’equipaggio con tutti gli onori, organizzano giri per taverne.
Pulcinella diceva che “Per mare non ci stanno taverne”; la navigazione nei laghi dovrebbe essere invece tranquilla, scevra da ogni rischio.  A meno che, nel passaggio tra una chiusa e l’altra, capiti un black-out e la nave finisca su una secca.Nelle settimane scorse è capitato alla nave Evergreen che ha bloccato il Canale di Suez. Alla graniera su cui era imbarcato Gianco capitò in Canada, qualche decennio fa: si mise di traverso e bloccò il traffico per due o tre giorni. Finalmente fu disincagliata e raggiunse il porto di Montreal; aveva un grosso squarcio a prua, cominciò un estenuante braccio di ferro tra l’armatore e le autorità di porto: il primo voleva che la nave completasse il viaggio e portasse il carico a destinazione, la capitaneria riteneva che la nave non fosse in condizioni di poter proseguire e negava l’autorizzazione. L’equipaggio seguiva con apprensione la trattativa, sapeva a quali pericoli era esposto. Vi fu una specie di ammutinamento, quindici persone decisero di sbarcare; appena giunsero le sostituzioni, la nave salpò da Montreal. “Partimmo senza conoscere il porto di destinazione, alla fine ci mandarono a Rotterdam”,  ricorda Gianco.




“Durante la navigazione, i marinai non fecero altro che versare sacchetti di cemento a presa rapida nel gavone di prua, per turare lo squarcio; per fortuna navigammo con mare piatto.”
A Rotterdam, nel giro di ventiquattro ore, la nave scaricò il grano, passò a un’altra banchina, caricò carbon coke e ripartì, facendo rotta su Vado Ligure; solo a conclusione del viaggio entrò in cantiere di riparazione, a La Spezia. 


“Una volta, a Leningrado. rimanemmo bloccati nel ghiaccio per quaranta giorni. Una fila di oltre venti navi era bloccata. Finalmente qualche nave rompighiaccio riuscì nell’impresa di creare un varco nella lastra di ghiaccio ma, subito dopo il suo passaggio, la lastra si richiudeva”, Gianco rievoca.
Dopo qualche anno Gianco, insieme ad altri soci, fonda la Cooperativa Barcaioli: talvolta le rotte bisogna tracciarle, non limitarsi a percorrerle.


“Ho un ottimo ricordo degli anni trascorsi a Procida. Vado spesso a Ischia e, ogni volta, faccio un salto a Procida”, dice Gianco.
Beniamino Mazzella aggiunge: “ A Procida ho lasciato pezzettini del mio cuore...mi fa piacere ogni tanto andare a vedere come stanno...e non ho intenzione di riprendermeli....sono dannatamente innamorato di quell'isola!!”

Gianco a Procida

Cooperativa Barcaioli di Ponza

Foto di classe


É un giorno di marzo del 1968. Il bidello annuncia: “Ci sta ‘u fotografo!” Si scende nell’atrio, ci si mette in posa intorno al professore Arcangelo Esposito che, in questi anni passati lontano da casa, è stato un punto di riferimento. 

I ragazzi stanno per conseguire il titolo di padrone marittimo che li abilita alla navigazione di piccolo cabotaggio; molti di loro frequenteranno gli ultimi due anni dell’Istituto Nautico e diventeranno ufficiali di Marina Mercantile.
Silverio Vitiello li ricorda uno ad uno, per cognome e nome come si addice ai compagni  di classe:
(inginocchiati da sinistra a destra) Sandolo Giuseppe-Iodice Augusto- Di Meglio Giovanni- Capone Ubaldo- Gargano Giuseppe
(in piedi da sinistra) Vitiello Silverio- Vitiello Andrea- Vitiello Aniello- Sandolo Federico- professor Esposito Arcangelo- Conte Andrea- Di Meglio Francesco- Ledda Francesco- Tagliamonte Aniello.


Per quali mari andranno? 


In prima fila da destra: Gianpiero Vitiello (che fornisce l’elenco dei compagni), Gerardo Esposito e il padre prof. Arcangelo, il cardinale di Napoli, un prete, Giovanni Coppa.
In seconda fila da destra: Vincenzo Magliocco di Ventotene, Vincenzo Sogliuzzo, Aniello Vitiello, Silverio Montella, Andrea Conte, Francesco Ledda, Giuseppe Enzo Gargano, Giacomo Balzano.

In terza fila da destra: Natale Bosco di Ventotene, Antonio Mazzella, Francesco Vitiello, tre camerieri dell’hotel Eldorado, un altro alunno, Costantino Tagliamonte.

La mia Procida- Aniello

Aniello Montella 


Tanti anni fa, tanti capelli fa, Aniello Montella trascorreva i pomeriggi giù alla Corricella insieme ai compagni, tirando calci a un pallone. Le dimensioni dell’isola,  il dialetto, la vicinanza di tanti compaesani, la calda accoglienza dei procidani lo facevano sentire a casa. Alloggiava alla pensione Eldorado che, dal 1965, accolse tanti studenti ponzesi; qualche anno prima, nel 1955, in quelle stanze avevano vissuto Elsa Morante e Alberto Moravia; lì aveva preso forma il romanzo L’isola di Arturo.
Su per le colline verso la campagna, la mia isola ha straducce solitarie chiuse fra muri antichi, oltre i quali si stendono frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali”: così Arturo descrive Procida. La rigogliosità dei giardini procidani era apprezzata anche dai ragazzi di Ponza che, prima di tornare all’isola natìa, non mancavano di fare provvista dei rinomati limoni. 


Antonino Montella tra i figli

I fratelli Montella, Aniello e Silverio, sapevano da sempre che avrebbero imparato ad andare per mare, seguendo la strada tracciata dal padre Antonino; si iscrissero all’Istituto Professionale per le Attività Marinare di Procida, alla fine del triennio sostennero l’esame integrativo per accedere all’Istituto Nautico, dopo due anni si diplomarono.
Antonino era tornato dalla guerra col grado di sergente e il progetto di dedicarsi alla navigazione; la domanda di ferma in Marina non andò a buon fine, lui studiò da autodidatta, prese la patente di padrone marittimo, cominciò a girare il mondo come comandante di bastimenti. “Quando io sono nato, nel 1957, lui era in India”, Aniello ricorda. La vita del navigante è fatta anche di questo: non veder nascere un figlio, conoscerlo quando ha già qualche mese, risultargli estraneo, ripartire quando il rapporto comincia ad instaurarsi. In compenso, arrivano le soddisfazioni professionali; l’offerta di posti di lavoro è alta, gli stipendi sono considerevoli, si gira il mondo.


All’inizio degli anni Ottanta Aniello, fresco di diploma, si affaccia sul mercato del lavoro. Il primo imbarco è su una nave che trasporta legname dal Mar Nero all’Italia; Aniello sale a bordo nel porto di Palermo, la vecchia carretta sbatte sugli scogli nel Golfo di Bengasi, naufraga. L’equipaggio resta per oltre un mese in albergo, impegnato nei turni di guardia e nel disbrigo delle pratiche burocratiche; il 24 dicembre si riesce a tornare in Italia ma è tardi per raggiungere Ponza e fare Natale in famiglia..
Sebbene il battesimo professionale non sia stato dei più incoraggianti, Aniello non desiste; il nove gennaio è di nuovo a bordo di una nave da pesca, naviga lungo le coste africane per otto mesi.
Le vicende della vita  lo portano prima a navigare sulle cisterne di Vecchiarelli, poi a rilevare una macelleria su corso Pisacane, infine a lavorare nel settore idrico del comune di Ponza; oggi è dipendente di Acqualatina. Per esperienza personale posso dire che un guasto o un problema appaiono meno gravi se sul posto arriva Aniello con la sua bontà, la sua pacatezza, la sua disponibilità.


Degli anni passati a Procida restano bei ricordi e il desiderio di rivedere i vecchi compagni. Ogni tanto qualcuno di loro approda a Ponza, da skipper o da diportista; giù al porto chiede notizie, si attiva il tam tam, Aniello accorre.  

Oggi, quando scende dalle sue terre sulla collina della Madonna e sosta sul belvedere della Parata, Aniello volge sempre uno sguardo oltre le Formiche: dietro si staglia il profilo di Ischia dove spesso trascorreva le domeniche, ospite di un cugino; Procida non è visibile perché troppo bassa ma ci sta. E i suoi vicoli, la Corricella, la Terra Murata non possono aver dimenticato quei ragazzi vocianti e capelloni di mezzo secolo fa.


 gli studenti ponzesi in gita a Napoli

La mia Procida- Enzo



Cinquant’anni fa, a Procida, Enzo ‘u Punzese era popolarissimo; nei bar del porto analizzavano le sue parate, giù alla Chiaiolella commentavano rimesse e deviazioni. Enzo Gargano, classe 1953, ha indossato la maglia numero uno di entrambe le squadre procidane: la Juve Procida e la US Procida.
Appena mise piede sul campo d’erba di Procida, Enzo esclamò: “Ma questo è un materasso!” Bisogna capirlo: a Ponza si giocava sul campo di pietre di Le Forna costruito dalla Samip su insistenza del padre di Enzo, il mitico Peppe Baffone che, in gioventù, era arrivato a giocare nel Venezia.

A Procida Enzo Gargano arrivò per caso. Dopo la scuola media era fermamente deciso a continuare gli studi, scelse un istituto per elettrotecnici a Foggia, preparò la valigia e partì. Giunto in Puglia, scoprì che l’istituto aveva esaurito i posti disponibili; tornò a Ponza senza neanche disfare la valigia.
Dopo poco sbarcò a Ponza Arcangelo Esposito, procidano, professore di materie letterarie; l’istituto professionale per le attività marinare di Procida rischiava la chiusura per mancanza di iscritti e i procidani non erano disposti a perdere un pezzo della loro storia; andarono a cercarsi gli alunni sulle isole più prossime, le Ponziane.


Quel diploma da capitano di lungo corso preso a Procida, Enzo non l’ha mai utilizzato, però ha passato la vita in divisa: quella di vigile urbano del Comune di Ponza.
Oggi ricorda con commozione e gratitudine gli anni trascorsi a Procida; “Dobbiamo gemellarci”, propone.




La mia Procida- Dino


Dino Vitiello


Dino Vitiello non pensava di andare a studiare a Procida né, tantomeno, di trasferirvisi stabilmente.
Nato a Calacaparra nel 1959, bravo chierichetto nella chiesa della Madonna Assunta di Le Forna, a tredici anni stava per entrare in seminario grazie all’interessamento del sacerdote Marcello Feola; l’ammissione gli fu però rifiutata perché non aveva studiato latino alle scuole medie. All’epoca gli studenti potevano scegliere tra latino e applicazioni tecniche; la seconda opzione prevedeva una suddivisione di genere: i maschi venivano affidati a un docente di sesso maschile, imparavano i primi elementi di disegno tecnico, costruivano qualche circuito elettrico; le femmine, sotto la guida di una docente, ricevevano nozioni di economia domestica, sferruzzavano e ricamavano. Così andavano le cose, cinquant’anni fa.


Sfumato il progetto di accedere al seminario, Dino ripiega sull’istituto Professionale per le Attività Marinare e, insieme ad altri ragazzi di Ponza, parte per Procida. Va a convitto alla pensione Savoia.
La prima cosa che lo colpisce è la diversità di visuale rispetto a Ponza; abituato ad avere davanti agli occhi la distesa infinita di cielo e mare, si ritrova nella dimensione angusta dei vicoletti incassati tra i palazzi. “Intorno al porto, le vie sono tutte vicoli senza sole, fra le case rustiche, e antiche di secoli, che appaiono severe e tristi, sebbene tinte di bei colori di conchiglia, rosa o cinereo.” (L’isola di Arturo)


Alla pensione Savoia domina il cameriere Pippo, punto di riferimento per gli studenti-convittori; fa rispettare l’orario di rientro (intorno alle sette di sera),  assegna punizioni a chi trasgredisce; fa da tesoriere, riceve dai genitori un fondo spese all’inizio del soggiorno, consegna ai ragazzi il denaro per le piccole spese, annota su un quadernone. 


Il clima alla pensione Savoia è quello di tutti i collegi maschili: c’è un po’ di nonnismo, con i classici scherzi delle lenzuola annodate a sacco, della bacinella sopra la porta per battezzare l’ultimo arrivato; il martedì c’è l’attesa per l’arrivo della valigia da Ponza, quella valigia che, partita da Procida una settimana prima, piena di panni sporchi, torna colma di biancheria pulita e stirata, di vasetti di tonno, di casatiello, di aria di casa.
Fuori dalle mura del Savoia i ragazzi di Procida lanciano qualche segnale di insofferenza: l’arrivo di tanti galletti ponzesi nel loro pollaio li disturba, le ragazze osservano, valutano, puntano. Ma basta un pallone a ristabilire l’armonia: si organizzano partite di procidani contro ponzesi, Enzo Gargano è conteso dalle due squadre maggiori, Dino è portiere nella NAGC, il fratello Salvatore Moscone indossa la maglia della squadra principale.
Alla vigilia delle vacanze di Natale i ragazzi ponzesi si danno appuntamento per il “campone”: si va per campi, i rinomati agrumeti procidani, e si ritorna all’isola natìa con le valigie colme di limoni e arance.

Compiuti i quattordici anni, nei mesi estivi Dino comincia a lavorare come marinaio; il tempo che trascorre a Ponza è sempre più esiguo. Dopo il triennio al professionale e i due ultimi anni di istituto nautico, si iscrive all’università e si laurea in Scienze Naturali. Si è fidanzato con Maria, procidana; i genitori temono che il legame con Calacaparra si allenti, il padre si raccomanda: “Fa’ quello che vuoi a Procida, purchè torni a Ponza!”
Invece Dino ha scelto Procida; gli era sembrata angusta, quasi claustrofobica all’inizio, poi ha scoperto una terra accogliente, progredita, capace di coniugare la prossimità alla terraferma con la dimensione di isola.
A Procida apre una bottega artigiana in cui vende gli oggetti di legno che realizza: un po’ di manualità l’ha acquisita nelle lezioni in officina al professionale, molta gli viene dal nonno falegname.
Qui crescono i suoi tre figli; da qui prende il largo nei mesi estivi, sulla plancia dello yacht di cui è comandante.


La mia Procida- Nunzio Vecchione

É l’ultimo anno di asilo, sedici ometti ponzesi si mettono in  posa davanti alla chiesa di San Silverio: compunti, sorridenti, coi grembiulini appena lavati e stirati. I sodalizi veri, inestinguibili, si sono già formati; gli ometti non sanno che  i sorrisi di Peppe Coppa, di Mimmo Vitiello, di Pino Iodice si spegneranno troppo presto. 



da sinistra in prima fila: Domenico Zecca, Sergio D'Arco, Silverio Rispoli, Pino Iodice, Salvatore Sabatino da sinistra in seconda fila: Raffaele Pacifico, Vincenzo Curcio, Erasmo Aprea, Gino Scarpati, Tommaso Andreozzi, Mimmo Vitiello, Gianni D’Atri da sinistra in terza fila: Nunzio Vecchione, Peppe Coppa, Antonio Scotti, Giuseppe Onorato


Gli ometti sono pronti a percorrere i pochi metri che separano l’asilo dalle aule delle elementari di via Parata; la scuola li accoglierà con la severità bonaria di Michelina ‘a bidella e, trascorsi gli otto anni dell’obbligo, li abbandonerà al loro destino. 


Michelina 'a bidella (a sinistra) e un'amica. Foto di Salvo Galano pubblicata da Frammenti di Ponza

Qualcuno andrà in collegio; il mantenimento è costoso, poche famiglie possono permetterselo ma, per fortuna, il turismo muove i primi, timidi passi. Raffaele Pacifico ricorda che la madre diede in fitto una casa a un gruppo di amiche fiorentine, sbarcate a Ponza per aprire la boutique Elsa sul corso; l’entrata extra consentì alla famiglia di pagare la retta del collegio per Raffaele e di mantenerlo agli studi fino al conseguimento del diploma di ragioniere. 


Mentre gli ometti della foto si accingono al passaggio dall’asilo alle elementari, Procida costruisce un ponte virtuale verso le isole di Ponza e di Ventotene, che consente a tanti ragazzi di proseguire gli studi. Ben quattro degli ometti in grembiulino lo percorreranno: Silverio Rispoli, Vincenzo Curcio, Nunzio Vecchione, Giuseppe Onorato.



la gita allo zoo di Fuorigrotta. Nelle prime file si riconoscono Salvatore e Nunzio Vecchione, Giuseppe Onorato, Aniello Montella; dietro c'è Augusto Iodice


Nunzio Vecchione, classe 1958, questa mattina è libero dal lavoro presso la centrale elettrica e accetta di aprire il cascione dei ricordi.  A Procida alloggiava alla pensione Savoia; condivideva una quadrupla con il cugino Salvatore Vecchione e con i fratelli Dino e Moscone Vitiello. Ricorda le partite al pallone, le gite, le incursioni nei giardini procidani per fare incetta di limoni prima del ritorno a Ponza. Il nonnismo c’era, ma in dosi moderate e accettabili; produceva, tra l'altro, la sparizione delle provviste alimentari che le famiglie mandavano da Ponza col traghetto del martedì. 



da sin: Aniello Romano (‘a Bestia), Vito Vitiello (‘u Lupo), ragazzo con gli occhiali, Luciano Avellino, Salvatore Vecchione, Nunzio Vecchione. Seduto, Antonio Matrone di Ventotene.


da sin: Nunzio Vecchione, Salvatore Vecchione, Antonio Di Meglio (Chiazzone), Ormisda Scarogni.



Nunzio ha fatto buon uso del diploma da ufficiale di macchine conseguito a Procida, come testimoniano le pagine del libretto di navigazione. Ha navigato prima con i fratelli D’Amico, poi sulla cianciola Fratelli Feola di proprietà del suocero, infine sul Rio Marina. Per i suoi sessant’anni si è regalato una vacanza a Procida.







La casa dei guaglioni

villa Eldorado


Le case dei guaglioni ponzesi a Procida erano due: Villa Eldorado e pensione Savoia. La prima era gestita da Arcangelo Esposito, docente di lettere, la seconda da Pippo. 



Beniamino Mazzella sul balcone della pensione Savoia


A Villa Eldorado avevano alloggiato nel 1957 Alberto Moravia e Elsa Morante.
Nel romanzo L’isola di Arturo la casa dei guaglioni è stata la dimora di Romeo l’Amalfitano; il padre di Arturo la riceve in eredità. Il ragazzo, più che abitarla, ne occupa stanzini, angoli; la guarda dapprima con sguardo innocente e fiducioso, poi con occhi sempre più disincantati.
La casa era stata un convento prima che Romeo l’acquistasse. La facciata era da tipico palazzetto procidano, il gran portale di legno che non veniva mai aperto, la porticina per il passaggio; oltre l’atrio buio si apriva un terreno degradato, incolto, più discarica che giardino. L’Amalfitano aveva abbattuto dei muri, aveva preservato gli stipiti, in una ristrutturazione fantasiosa che, in definitiva, aveva reso più inquietante l’ex convento. 


L’Amalfitano trasforma il refettorio dei frati in sala delle feste. Anche qui i segni di antica grandezza - affreschi trompe l’oeil, lungo tavolone in legno, grande lampadario- sono immersi nel degrado: divani sfondati, lampadine fulminate, stoffe bruciacchiate dalle sigarette, graffiti sui muri (cuori trafitti, nomi, date, versi), l’intonaco dietro una preziosa acquasantiera d’alabastro sfregiato dalla firma di tale Taniello: i segni tipici dei “luoghi nei quali giovani e ragazzi si ritrovano in compagnia senza donne.” Già: il vecchio Amalfitano, omosessuale e fortemente misogino, vuole intorno a sè solo guaglioni e cani. Organizza gaie feste in maschera di cui nulla trapela all’esterno, non essendo presenti donne chiacchierone; quel che si sussurra potrebbero essere maldicenze messe in giro proprio dalle donne, indispettite per l’esclusione; chissà…  Costumi, maschere, chitarre e mandolini, preziosi bicchieri decorati in oro sono oggetto di saccheggio, o forse di risarcimento, da parte dei guaglioni, dopo la morte dell’Amalfitano. 


foto fotogrammi del film L’isola di Arturo (regia di Damiano Damiani-1962)

Il giardino di Villa Eldorado


In quel capolavoro che è il romanzo della Morante, l’isola è inizialmente luogo circoscritto e completo, dotato degli elementi archetipi di ogni fiaba: il mare, la fortezza, il carcere, i giardini rigogliosi. Qui Arturo vive un’infanzia libera e selvaggia, nutrendosi di quel che la terra e gli animali producono; qui Arturo “scopre le cose più belle e più brutte della vita”: con queste parole Elsa Morante presenta il romanzo al Premio Strega. 
L’eroe -il padre- va e viene, le sue partenze rimandano all’altrove, alla necessità di ampliare la propria mappa mentale.
Il romanzo si chiude con la partenza: bisogna partire dall’isola per vederla nella sua interezza, per coglierne i limiti. “L’isola non c’era più”: è l’ultima frase di un romanzo meraviglioso.






villa Savoia

La mia Procida- Beniamino

Beniamino Mazzella


Arriva a Procida ai primi d’ottobre del 1973, si chiude nella sua stanzetta alla pensione Savoia e passa una settimana a piangere. Gli altri ragazzi di Ponza assumono atteggiamenti protettivi nei confronti di questo cucciolotto gracile, che non ha nemmeno tredici anni, che prima d’ora non era mai uscito da Ponza.


A poco a poco Beniamino Mazzella prende coraggio, comincia ad esplorare l’isola; caspita, è una lingua di terra di appena quattro chilometri quadrati, la metà dello scoglio natìo, ma ha una discoteca, due cinema, una sala teatrale!  Procida comincia a piacergli, gli piace ogni giorno di più; e a Procida piace questo folletto ironico, discreto, educato che sbircia, annusa, respira l’aria nuova a pieni polmoni. 



I ragazzi fanno musica, Benny si intrufola nel complesso musicale The Biggest, si esibisce con tutine attillate, parrucche, imita Renato Zero.
Timidamente osserva le prove di una compagnia teatrale senza avere il coraggio di varcare la soglia: “Come mi piacerebbe stare là dentro”, sospira. Un’amica lo presenta a Ginetta Savarese, leader del gruppo. “Sono grato a Procida perchè mi ha iniziato al teatro”, dice oggi Benny.
Il primo spettacolo è ‘O Sciaraballo; seguono Li Nipute de lu Sinnaco di Eduardo Scarpetta, Sabato domenica e lunedì di Eduardo De Filippo e tanti altri. 

Evangelista Salvemini


L’incontro con Evangelista Salvemini lo folgora; è un uomo semplice, quasi anziano, lavora come tuttofare nella casa del regista Giuliano Montaldo, ma irradia luce e creatività. Omosessuale, vive la sua vita alla luce del sole, amato da tutti.
Evangelista è un costumista eccezionale: possiede una quantità enorme di parrucche, di vestiti; fa rinascere scarpe scalcagnate, le trasforma in gioielli grondanti merletti, nastri e strass. Crea molti dei costumi che le ragazze procidane indossano per partecipare alla sfilata del mare ispirata a Graziella, protagonista del romanzo che Lamartine ambientò a Procida.
Evangelista è un autodidatta geniale, libero, estroverso, benvoluto: un modello di vita.

Beniamino, Gennaro e Sasà- Procida, 1980


Nei primi tre anni alla scuola professionale, Beniamino è uno studente modello; se avesse potuto, si sarebbe iscritto al liceo artistico ma nei primi anni Settanta è quasi impossibile, per un ragazzo di Ponza, rifiutare le condizioni vantaggiose che Procida offre. Soffre un po’ quando deve andare in officina per le lezioni pratiche, lui che arriva a scuola pulito, curato, elegante. Il professore commenta: “Mazzella... tu, secondo me, devi essere ‘nu poco ricchione”.


Sul Falerno, tornando a Ponza


Il passaggio al Nautico è traumatico: Benny ha capito che quella scuola non fa per lui; gli darà un diploma che mai utilizzerà e che neanche ritirerà. Allora decide di prendersela comoda, i cinque anni diventano sei, poi sette, poi otto … Procida lo attrae con mille lusinghe, con le prime storie d’amore, con feste in maschera e allegri giri di “tombola scostumata”, con amicizie sincere e inestinguibili. 



Qualche anno fa- Benny ricorda- ero a Napoli per un ciclo di chemioterapia. Mi chiama un’amica da Procida, allarmatissima: gira voce che io sia in fin di vita. La tranquillizzo: oddio, non è che sprizzi salute da tutti i pori ma mi sto curando, le previsioni non sono così tragiche. Finisce che nel fine settimana mi tocca andare a Procida e fare mille giri per rassicurare tutti i miei amici!


Beniamino arriva al punto di rinunciare a trascorrere qualche vacanza pasquale a Ponza per immergersi nella suggestione del Venerdì Santo procidano; quando parte, però, non rinuncia a riempire la valigia di limoni, sebbene il collegamento diretto tra le due isole sia stato soppresso e tocchi andare prima a Napoli, poi a Formia, salendo e scendendo da tram e treni.


Procida ha rivelato a Beniamino una nuova dimensione dell’esistenza; sarà perchè l’isola, all’inizio degli anni Settanta, aveva quattordicimila abitanti stipati in quattro chilometri quadrati ed era perciò impossibile nascondersi; sarà perchè è un’isola di marinai e i marinai, parola di Dalla e De Gregori, “possono baciarsi tra di loro e rimanere veri uomini però”.


Tornare a Procida è per Benny una necessità, ma l’idea di un trasferimento definitivo non lo ha mai sfiorato: “Ponza è l’isola in cui affondano le mie radici, Procida è la terra in cui ho emesso i germogli”, dice.



Chest’è Procida (1980)


A Procida con Nino

La mia Procida- Enrico


Il capitano Enrico Potere, procidano, non ha mai perso i contatti con i compagni di scuola di Ponza e di Ventotene. Ha lavorato per undici anni sulle imbarcazioni del Ministero dell’Ambiente, Sesto Settore Difesa Mare, competente per i controlli sullo stato delle acque marine; particolarmente intensi i controlli sul parco marino di Ventotene e Santo Stefano. “Éun parco marino gestito direttamente dallo Stato mentre altri, come il Regno di Nettuno che ingloba Ischia e Procida, dipendono dalle Regioni. Nel caso dei parchi statali il controllo è molto severo; noi ogni settimana trascorrevamo un paio di giorni tra Ponza e Ventotene, controllavamo lo stato delle acque e le imbarcazioni”,  ricorda.

Ponza è il luogo in cui sbocciò l’amore tra Enrico e la sua futura moglie, procidana; entrambi erano ospiti del loro compagno di scuola Antonio Romano Milord.

  • Capitano, i ragazzi di Ponza e di Ventotene hanno vissuto un’esperienza formativa straordinaria, l’Istituto Nautico di Procida ha una storia di secoli.
    - Ai nostri tempi accoglieva 550 studenti.
    -Ne sei sicuro? Una scuola superiore prevalentemente maschile in un’isola di quattro chilometri quadrati con poco più di diecimila abitanti non può avere una popolazione studentesca così numerosa...
    - Invece l’Istituto Nautico di Procida la aveva. C’erano sei sezioni e le classi erano quelle di una volta, con ventotto alunni! A Procida, se non avevi il libretto di navigazione, nessuna ragazza ti prendeva in considerazione. La quarta E, che accoglieva gli alunni provenienti dalla scuola professionale, quindi anche i ponzesi e i ventotenesi, era una classe speciale.

  • Intendi dire che era una classe di serie B?
    - Sì, ma poi si studiava forte e ne sono usciti grandi capitani; l’amico Milord è anche armatore. Si studiava non solo sui libri, si faceva molta pratica; se il motore di un’imbarcazione si guastava, lo smontavano e lo portavano nell’officina della scuola. C’erano tanti insegnanti tecnico-pratici che avevano trascorso la vita sulle navi. Ad aprile molti tra noi si imbarcavano e completavano la formazione sul campo. 


- Ai tuoi tempi, dopo il diploma si trovava subito un’occupazione?
-Io a diciotto anni avevo già il patentino; oggi l’inserimento è meno immediato. Ai miei tempi l’agenzia Cosulich reclutava il personale a Procida per le petroliere delle Sette Sorelle; un dirigente della società, il capitano Scarel, aveva casa a Procida, conosceva tutti, individuava i giovani capaci e li assumeva. Tramite la Cosulich ogni mese arrivavano a Procida stipendi per un miliardo e settecento milioni. 



Enrico Potere racconta un’isola con una gloriosa tradizione marinara, con benessere diffuso  ma anche con sacche di povertà; le isole vicine -Ischia, Ponza, Ventotene- che ancora non avevano conosciuto lo sviluppo turistico, avevano una situazione economica decisamente peggiore.
- I marittimi guadagnavano bene e godevano di prestigio sociale ma sull’isola c’erano famiglie che avevano difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena; la mattina presto attendevano che i pescherecci scutuliassero le reti e raccoglievano le alici che cadevano a terra. Oggi i nostri nipoti considerano una prelibatezza le freselle inzuppate nell’acqua di cottura dei fagioli; allora, su alcune tavole quelle freselle erano il primo piatto, perché di fagioli ce n’erano ben pochi! Alcuni dei ragazzi che venivano da Ponza e da Ventotene portavano giacchette dalle maniche troppo lunghe che dovevano essere state dei padri, degli zii; noi riconoscevamo i segni di condizioni familiari modeste e le rispettavamo. Vedi questa foto scattata sotto al carcere? C’è una cerimonia, tutti indossano la divisa o il vestito dei giorni di festa. Siamo nel pieno dell’inverno ma i bambini indossano i calzoncini corti: quello era l’unico vestito buono, lo indossavamo in inverno e in estate, con il gelo e con il caldo. Insomma, molti dei nostri compagni ritrovavano a Procida la povertà a cui erano abituati, non si sentivano fuori posto, non correvano il rischio di essere snobbati. E a tutti, procidani, ponzesi, ventotenesi il Nautico offriva la prospettiva di miglioramento economico e sociale, di un lavoro ben remunerato e ben considerato.



Negli anni tra i Settanta e gli Ottanta il coinvolgimento politico è forte, comincia con l’occupazione delle scuole. Enrico ricorda:
- Nel 1978 noi, i ponzesi e i ventotenesi occupammo il Nautico per ottenere che la sede della scuola professionale fosse riparata: ci pioveva dentro. Posso affermare senza ombra di dubbio che l’apporto dei ponzesi e dei ventotenesi fu determinante. Un’altra volta facemmo un’occupazione di tre giorni affinchè a Ischia fosse istituita una sezione del Nautico.


Procida non è solo un istituto nautico storico e accogliente. Enrico Potere si sofferma sul carcere, sull’economia, sull’organizzazione sociale; le foto d’epoca che corredano questa nostra chiacchierata sono sue.
- Io sono nato a Terra Murata, vicino al Carcere. La mattina dovevamo uscire presto di casa perché alle otto i carcerati venivano portati a coltivare i campi e le guardie sbarravano  la strada. Però il carcere era una voce significativa dell’economia isolana. A Procida si parlano tre lingue: c’è il napoletano, legato alla presenza del carcere. Alla Chiaiolella si sente l’influsso dell’ischitano perchè molti procidani di quella zona raggiungevano Ischia Ponte col gozzo e coltivavano le terre. Giù alla Marina c’è il pugliese, riconoscibile in espressioni quali crè, biscrè (domani, dopodomani); i pugliesi raggiungevano Procida con le loro navi, trasbordavano la merce sulle nostre e lasciavano ai procidani il compito di trasportarle nei paesi lontani; non erano grandi navigatori, i pugliesi!


  • Le donne procidane si trovavano ad amministrare gli stipendi dei mariti marittimi che, nel complesso, costituivano un’ingente quantità di danaro. Grazie alle donne nacque una banca popolare che emetteva buoni, acquistava case e svolgeva opera di assistenza; la banca si è poi evoluta nel fondo di solidarietà Pio Monte dei Marinai. La solidarietà tra la gente di mare era molto forte, non solo quando si trattava di aiutare le famiglie di marinai rimaste prive di sussistenza per la malattia o la morte del capofamiglia. Ancora oggi, se arriva la chiamata per un imbarco a un marittimo che è già occupato, si attiva il passaparola e, in breve, il posto di lavoro va a uno di noi.


  • Procida non è solo terra di naviganti ma anche di costruttori di navi: giù al porto ci sono locali lunghi trenta, quaranta metri in cui, in passato, si costruivano barche e golette. Si partiva da un disegno in “scala reale”, cioè in scala 1:1. Le golette procidane solcavano gli oceani, doppiavano Capo Horn. E i marinai procidani li trovavi ovunque; quando io navigavo, in qualunque parte del mondo mi trovassi, se tramite VHF si domandava “Ci sono procidani in zona?” arrivavano subito risposte affermative. Quando imbarcava un paesano, era una festa: arrivava portando le lettere che i nostri familiari gli avevano consegnato, quelle belle lettere nelle buste dai bordi colorati che ancora conservo. Bisognava vincere l’impulso di aprirle tutte insieme, bisognava prima  disporle in ordine cronologico e poi leggerle. 


La mia Procida- Milord

Antonio Romano (Milord)


Antonio Romano arrivò a Procida nell’anno scolastico 1972-73; era già Milord, insignito del titolo durante la gita di terza media alla quale si presentò con un doppiopetto in velluto nero. 


“Quando arrivammo a Procida, eravamo degli indios allo stato brado, soprattutto noi fornesi. Avevamo due possibilità: imparare a nuotare o affogare. Procida è stato teatro, scuola di vita, fiesta mobile; pensai seriamente di farmi bocciare per poter prolungare quella stagione beata” Milord ricorda.


“Io ho avuto tre figure di riferimento, nella mia vita: Nicola Assenso, Alberto Migliaccio e il procidano Arcangelo Esposito. Che personaggio! Capelli impomatati, pizzetto, in giacca da camera e cravatta, troneggiava nello studio enorme di Villa Eldorado, tra mobili antichi e libri. Conosceva a memoria la Divina Commedia e declamava i versi in modo da coinvolgere completamente l’uditorio. Lui parlava e tu ti sentivi nella bolgia, immerso nello sterco, gesticolante insieme agli altri dannati. 



Il nome di Arcangelo Esposito ricorre in tutti i ricordi degli studenti. Docente di lettere, proprietario di Villa Eldorado, una delle due residenze in cui alloggiavano gli studenti, nel 1965 si recò a Ponza per cercare potenziali alunni della scuola professionale per le attività marinare, che rischiava di chiudere per mancanza di iscritti. Il professore aveva numerosi interessi; come consulente di medicina riscuoteva la fiducia incondizionata di Milord.
- Dovevamo tornare a Procida, il vapore partiva alle quattro e mezzo, io avevo passato una nottataccia a causa di calcoli alla vescica. Mia madre mi implorava di non partire, di farmi visitare da un medico di Ponza, ma io mi fidavo solo del professor Arcangelo! Ero in condizioni pietose ma partii ugualmente; arrivato a Procida, lui mi scrisse su un foglio il nome di un medicamento, io corsi con la “ricetta” nella farmacia vicina e, nel giro di mezz’ora, i dolori sparirono.


Allo studio austero del professor Arcangelo si affiancavano salette molto più gaie. Si giocava a carte, per esempio. Milord in genere aveva come compagna di scopone Giulia la puttanona, che puniva gli errori a suon di paccari; il professore giocava in coppia con Vincenzo Curcio oppure con Silvano Tagliamonte. Spesso si aggregava il vecchio Pullastiello, violentatore di galline.


A poco a poco i ragazzi imparavano a conoscere il territorio, a far uso delle sue risorse.
C’erano gli agrumi da andare a rubare alla vigilia della partenza.
C’erano i piccioni, numerosissimi. Dopo qualche appostamento, si capì che nidificavano sotto al carcere; furono allora attrezzati giganteschi barbecue clandestini.
Ma la strage di piccioni a Terra Murata fu niente, a confronto con quel che avvenne nel giardino di Villa Eldorado, lussureggiante, con fontane e voliere tra le quali si aggiravano l’alano Furia e il mastino Capone. Gli uccelli svolazzavano beati, fino a quando uno degli indios non tornò dall’isola natìa con un crasteco. Il quale fece onore al suo nome scientifico Lanius, che significa macellaio: dilaniò tutti i graziosi volatili dell’Eldorado.


Nel 1978, con il diploma, finì la zizzinella.
Antonio cominciò a navigare su cisterne, su portacontainer, poi sulle navi di Assenso.
Nel 1996 salì sulle navi di Sigaretta; fu l’inizio di un’esperienza che dura tutt’ora, nelle vesti di comandante e di armatore. Senza mai dimenticare che tutto è partito da Procida.


 

La nostra Procida- Ricciolino e Cristofaro

Antonio Ricciolino Vitiello e Cristofaro Tagliamonte 


Ricciolino dal baffo scuro, Cristofaro dal baffo bianco, presentatevi.

Ricciolino: Antonio Ricciolino Vitiello, classe 1958, nato a Ponza. Ricciolino è il mio secondo nome, non un soprannome. Sono proprietario dell’edicola di giornali a Sant’Antonio e ho un’agenzia di pompe funebri. 

Cristofaro: Cristofaro Tagliamonte, nato a Ponza nel 1952, pensionato. Sono stato fanalista dei fari di Ponza, uno degli ultimi. La “razza” dei fanalisti ponzesi si è estinta definitivamente con il pensionamento di Silverio Montella, qualche mese fa.

Voi, insieme a tanti ragazzi di Ponza e di Ventotene, siete stati destinatari di un progetto messo a punto dal capitano Almerindo Manzo, procidano, presidente dell’ENEM (Ente Nazionale Educazione Marinara). Avete frequentato il triennio dell’istituto professionale a Procida come convittori; molti di voi hanno proseguito gli studi e hanno conseguito il diploma all’Istituto Nautico. Dove alloggiavate? Qual è stato il vostro percorso scolastico?
Ricciolino: Io stavo alla pensione Riviera. Sono arrivato a Procida dopo aver frequentato la scuola media a Ponza, ho fatto il triennio al professionale, ho preso il diploma da capitano di coperta.
Cristofaro: Io sono capitano di macchine. Dopo la scuola media sono rimasto fermo qualche anno, volevo diventare fanalista e aspettavo che fosse pubblicato il bando di concorso; poi, visto che il bando tardava ad uscire, decisi di iscrivermi alla scuola di Procida; il bando fu pubblicato l’anno successivo a quello del mio diploma. 


Se non aveste avuto l’opportunità di andare a convitto a Procida, avreste continuato gli studi?
Cristofaro: No, io avevo già interrotto gli studi. Vengo da una famiglia di fanalisti, volevo proseguire nel solco della tradizione familiare.
Ricciolino: No, non credo che avrei proseguito. Vengo da una famiglia di commercianti, avrei trovato un’occupazione nell’ambito delle attività della mia famiglia. 


Dopo il diploma avete avuto esperienze di navigazione?
Cristofaro: No. Mi diplomai, l’anno successivo feci il concorso per diventare fanalista, lo vinsi, rimasi per due anni a Lampedusa poi ottenni il trasferimento a Ponza. Mio fratello Costantino, che è del 1955, ha frequentato le scuole a Procida e ha sempre lavorato sulle navi.
Ricciolino: Non ho mai navigato. Dopo il diploma si presentò la possibilità di entrare nella flotta Lauro ma, nello stesso periodo, mia madre avviò questa attività- l’edicola di giornali a Sant’Antonio- e io cominciai ad occuparmene. Anche mio fratello Gianpiero ha studiato a Procida; è stato vigile urbano al comune di Ponza.
Cristofaro: Anche Silverio Montella, l’ultimo fanalista, ha seguito lo stesso percorso.

Aveste difficoltà di inserimento a Procida? Partecipavate alle riunioni tra ragazzi, alle feste?
Cristofaro: Procida ci ha accolto a braccia aperte.
Ricciolino: Eravamo bene integrati, facevamo sport, io ero nella squadra di pallavolo. Non ho ricordi di feste, avevamo la ritirata prima dell’ora di cena.


Il rendimento scolastico com’era?
Ricciolino: Al professionale non ebbi nessun problema, le attività pratiche erano prevalenti. Al Nautico ebbi problemi con l’italiano, venivamo da famiglie in cui si parlava solo il dialetto e, all’epoca, l’apprendimento avveniva esclusivamente a scuola, non c’erano altri canali. Provenivamo da un contesto culturale povero.
Cristofaro: Accedevamo al Nautico senza sostenere l’esame integrativo, frequentavamo una quarta classe sperimentale.


Siete tornati a Procida dopo il diploma? Avete contatti con i compagni di scuola?
Cristofaro: No, sono tornato solo per ritirare il diploma. Sarebbe bello ritrovarsi adesso.
Ricciolino: Neanche io sono più tornato. Dovremmo organizzare una rimpatriata, basterebbe noleggiare un’imbarcazione e fare un salto lì.


Chi erano i compagni di scuola più vivaci?
- Eh … Aniello la Bestia, Vito il Lupo: insieme erano imbattibili. Cosa combinavano? Vallo a chiedere a loro, ne hanno di cose da raccontare! 



La nostra Procida- I pionieri (1)



Federico Sandolo, Aniello Vitiello, Franco Di Meglio, Augusto Iodice

Sono le quattro di un martedì d’ottobre del 1965, Ponza è immersa nel buio, la passerella d’imbarco al Mergellina  sembra un trampolino sospeso nel buio della notte. Percorrerla significa uscire dal tepore della vita familiare, dare una sterzata a esistenze che si erano già incanalate nel solco delle attività di famiglia, delle relazioni di paese; il resto sarebbe venuto col tempo, in modo naturale, scontato.

 

Andrea Conte e Federico Sandolo

Alla punta del molo si ritrovano Silverio Vitiello ‘u Sorice, Federico Sandolo, Emiliano Vitiello, Antonio Mazzella, Aniello Tagliamonte, Ubaldo Capone, Andrea Conte, Augusto Iodice e altri. Sono in tredici, molti hanno lasciato la scuola già da qualche anno, credevano di aver chiuso definitivamente con libri e quaderni invece, domani, torneranno tra i banchi, in un'aula dell'istituto professionale di Procida. I timori, più che il sonno, li spingono verso la sala di terza classe; si stendono sulle panche di legno, si raggomitolano, provano ad addormentarsi.  Tra sei ore sbarcheranno a Procida; cosa troveranno, non lo sanno. Sono i pionieri di un’avventura che coinvolgerà tanti altri ragazzi di Ponza e di Ventotene e che si protrarrà fino agli anni Ottanta. 




Andrea Conte

“A Ponza, Silverio, Federico e io frequentavamo l’officina meccanica di Salvatore Sandolo Panzatuosto, apprendevamo il mestiere. Alle feste comandate ricevevamo cinquemila lire, non era ancora il momento di una vera e propria paga” ricorda Augusto Iodice, fornese, classe 1952. L’officina serve tutta la marineria ponzese, Salvatore Sandolo è bravo, nel dopoguerra circostanze tragiche lo sospinsero in terraferma, studiò, prese il pezzo di carta. Augusto, Silverio e gli altri, invece, hanno lasciato la scuola appena dopo l’avviamento; è un caso di abbandono scolastico al rovescio, nel senso che è la scuola ad abbandonare gli alunni, a non offrire opportunità formative.



Andrea Conte e Antonio Mazzella


Procida accoglie in modo inatteso i tredici pionieri. Silverio Capone, classe 1959, che giunge a Procida nel 1973 e vi resta sino al 1978, ricorda: “Sul porto ci aspettava  un personaggio che pareva uscito da un quadro del Seicento: abiti classici, occhialini, pizzetto, in mano una bacchetta con cui ci puntava e assegnava la destinazione: tu vai all'Eldorado, tu vai al Savoia.” Era il professore Arcangelo Esposito, figura ricorrente nei racconti degli ex studenti, docente di Italiano e proprietario della pensione Eldorado.



Aniello Tagliamonte e Federico Sandolo


I timori della partenza si dissolvono rapidamente. La nostalgia è forte ma prevale la voglia di uscire dai limiti angusti della vita di paese; cominciano a delinearsi obiettivi professionali, la visuale si amplia. Augusto definisce gli anni trascorsi a Procida “una splendida avventura”; alla pensione Eldorado si sentono ben accolti, la famiglia del professor Arcangelo -la moglie Amelia, i figli Gerardo e Patrizia- diventa una seconda famiglia, il factotum Ugo è una presenza amica. Si fa amicizia con gli altri studenti, si sfottono i professori, si attribuiscono nomi: ‘U Chiuovo, ‘U Cane. Si gioca a carte coi personaggi procidani: Pullastiello, Evangelista …


Augusto e Pippo, cameriere dell'hotel Savoia e tutor dei ragazzi

I tre anni all'istituto professionale trascorrono in fretta; al termine, dopo l'esame di qualifica, la maggior parte degli studenti ponzesi sostiene l'esame di ammissione all'ultimo biennio del Nautico; termina il regime di convitto gratuito, bisogna dire addio alle stanze dell'Eldorado e del Savoia, affittare un appartamento. La signora Tagliamonte non ci pensa due volte: si trasferisce a Procida, accudisce i figli Aniello e Silverio nonché i loro amici Augusto e Federico. I guaglioni devono studiare, l’Istituto Tecnico Nautico Francesco Caracciolo è scuola prestigiosa e severa, non regala diplomi.

La signora Tagliamonte tra Augusto e Federico

Col diploma di direttore di macchine, l'ingresso nel mondo del lavoro avviene dalla porta principale. Augusto emigra in America e vi trascorre sette anni; al ritorno naviga prima con la Navarma di Onorato, poi con la Toremar sulla tratta Portoferraio-Piombino; da quindici anni si gode la pensione nella sua bella casa all’Elba.

Andrea Conte, originario della zona dei Conti, si stabilisce nel Michigan, ha una fortunata carriera di imprenditore edile.


Anche Aniello Tagliamonte si stabilisce negli Stati Uniti


Silverio Capone vive a Ponza, lavora in albergo e come assicuratore.


Silverio Capone



Ubaldo Capone e Augusto Iodice


Tutti rievocano con piacere, tirano fuori dal cascione foto d'epoca, ricordano con commozione Federico, Antonio Zintonio andati via troppo presto.
Procida è rimasta nei loro cuori.

Vincenzo Curcio


Capone&Capone

I pionieri (2)



Il mak pi, la festa con amici e professori  cento giorni prima dell'esame
da sinistra: Aniello, Lucia Narpeto (di Procida), Augusto, ragazzo con maglione nero, Angelo Monti (di Ischia), prof. Notarbartolo (di Elettrotecnic)a, studente di Ischia, Federico


 Federico Sandolo e Aniello Vitiello fanno parte del gruppo di pionieri: con loro inizia la storia che stiamo raccontando. Federico è morto cinque anni fa; ne parla la moglie Antonietta.

Augusto, Federico e Andrea


Quando sbarca a Procida, Federico ha sedici anni, ha lasciato la scuola da un pezzo, ha fatto apprendistato nell’officina meccanica di Salvatore Panzatuosto. Coglie al volo l’opportunità di studio offerta da Procida, frequenta il triennio della scuola professionale, alloggia alla pensione Eldorado, sostiene l’esame di ammissione al Nautico, trascorre gli ultimi due anni in una casa affittata con Augusto Iodice e con i fratelli Tagliamonte.

Al momento della scelta dell’indirizzo di studi, i Panzatuosto boys non hanno alcuna esitazione: saranno direttori di macchine. Stanno a proprio agio in sala macchine, sono abituati a smontare e vivisezionare i motori, a sentirne la voce, a insozzarsi di grasso; ragionano di cicli termodinamici e di rendimenti, sfottono gli ufficiali che stanno sul ponte di comando, così fighetti con le loro divise inamidate. 

La festa del quinto anno (mak pi)



Federico intende mettere a frutto Il diploma da direttore di macchine, progetta di navigare a lungo corso; prima, però, lo aspetta il servizio militare in marina. L’incontro con Antonietta porta alla ridefinizione degli obiettivi; è il 1973, sul piroscafo che va a Ponza è colpo di fulmine tra il marinaio in divisa e la genovesina, lui in licenza, lei in vacanza dai nonni, lui diretto a Le Forna, lei a Giancos. Il 23 giugno del 1977, appena dopo san Silverio, si sposano; si stabiliscono a Formia, lui naviga sulla tratta Ponza-Terracina dei fratelli Mazzella. Nel giro di un paio di anni nascono due bambine. 

Federico sogna di entrare in Caremar, la società in cui il padre è stato marinaio quando era ancora privata e si chiamava Span; la Caremar degli anni Ottanta, però, è un miraggio, per accedervi bisogna avere appoggi in alto loco, la domanda presentata da tempo giace insieme a tante altre in qualche cassetto della sede al Beverello. Antonietta vorrebbe il terzo figlio, Federico dice no a modo suo: “Vabbè, faremo il terzo figlio quando io entrerò in Caremar.” Ma  la Caremar, un giorno, telefona; la voce è quella di un compagno del Nautico, Angelo Monti, da poco a capo dell’ufficio tecnico della società. Federico si fionda a Napoli, il capitano d’armamento Michele Riccio esamina libretto di navigazione e titoli. Dopo una settimana, Federico prende servizio su un aliscafo Caremar; dopo alcuni mesi gli tocca offrire da bere all’equipaggio per festeggiare la nascita del terzogenito Giacomo.


Augusto


Altro pioniere è Aniello Vitiello. Dopo il servizio militare naviga sulle petroliere della Gulf, prende l’abilitazione a capitano di macchine, poi cerca un’occupazione che gli consenta di essere presente in famiglia, accanto alla moglie Maria Antonietta e alla piccola Assunta, oggi architetto. Aniello lavora con la Vetor, prima sulle cisterne, poi sugli aliscafi. “Procida ci ha indirizzati al mondo del lavoro”, dice; in realtà anche l’amore per il giardinaggio, a cui si dedica da quando è in pensione, ha origini procidane più che ponzesi.




Aniello Tagliamonte, Lucia Narpeto, Federico Sandolo, Augusto Iodice


Salvatore "Moscone" Vitiello, Antonio Sogliuzzo, Giacchino "Campana" De Martino, Antonio "Chi
Vito "Lupo" Vitiello, Silverio Sabatino, Antonio Sogliuzzo, Generoso D'Ambrosio


Augusto Iodice  
Ero al quarto anno. La mi' sorella * viveva in America, stava per sposarsi e mi chiese di acquistare un'auto di seconda mano perché mio cognato intendeva fare il viaggio di nozze andando in giro per l'Italia. Giacché c'ero, acquistai un'auto e una moto 175 Bianchi dal professor Genio di Tecnica Meccanica; essendo minorenne non potevo intestarmi i due veicoli, chiesi quindi al mio amico Federico Sandolo di figurare come acquirente. Il notaio era stupito: "Non mi è mai successa una cosa del genere, che un ragazzo intesti ad un amico i suoi beni." Ma Federico e io eravamo due fratelli!
Portai la moto a Ischia, dove avevo una ragazza e tanti amici: Marcellino che suonava il piano come John Lennon e l'organo in chiesa, Half Night, Angelo Monti di cui ero ospite, la su' mamma* era una donna meravigliosa. Il fine settimana andavo a Ischia, il mio compagno di studi Salvatore aveva quattro o cinque ragazze e, con la sua Mini Minor, andavamo a trovarle tutte; la mamma di Salvatore ci preparava il coniglio all'ischitana. Studiavamo insieme, ci preparavamo all'esame di Stato. E' stato bellissimo, dai!

*Augusto vive in Toscana.

Silverio Sabatino e il sacerdote don Giuseppe


Antonio Sogliuzzo  Il martedì arrivava la nave da Ponza; le nostre mamme ci mandavano il ben di Dio: salumi, formaggi, casatielli. Ognuno di noi aveva la valigia munita di catenaccio che utilizzava come dispensa. Mi accorsi che la chiave del mio catenaccio Viro apriva anche il catenaccio di Sabatino; a sua insaputa, svuotammo la valigia e banchettammo. Quando il buon Silverio si accorse che la valigia era vuota e il catenaccio non era stato forzato, non riusciva a capacitarsi. 

Silverio Sabatino ha lavorato come direttore di macchine per la società Vetor.

Quella volta che ... (2)

Silverio Sabatino, Antonio Sogliuzzo, Vito "Lupo" Vitiello

Enzo Gargano Faccio parte del primo "plotone", con altri tredici alloggiavo all'Eldorado. Ricordo il professor Arcangelo, la sua capacità di spiegarci la Divina Commedia, anche maccheronicamente, e farcela comprendere; ricordo le sue partite a carte con noi e la sua severità, necessaria a frenarci. Ma, permettetemi, ricordo con maggiore affezione la signora Amelia, sua moglie, perché le domeniche in cui andavo a giocare fuori casa con la squadra del Procida* e ritornavo non in orario per pranzare con gli altri, lei mi conservava tutto al caldo come fa una mamma. Posso mai dimenticarmi di Procida?

*Enzo è stato portiere nelle due squadre di calcio di Procida

Cena all'albergo Savoia, 1974- Si riconoscono: Gioacchino De Martino (in maglietta blu con rigo bianco), Silverio Sabatino (con i baffi), don Giuseppe. Seduti: Antonio Sogliuzzo (con camicia aperta),, don Giuseppe (con gli occhiali), Antonio "Chiazzone" Di Meglio (in maglietta verde)azzone" Di Meglio

 Antonio "Milord" Romano Si avvicinava il ponte dell'Immacolata, il professor Arcangelo
non voleva mandarci a casa, occorreva che un nostro portavoce andasse a convincerlo. 
Mandammo Peppe Onorato, il primo della classe, un mostro: viaggiava su voti altissimi
 per quei tempi, il più basso era otto. Noi invece ci tenevamo sulla media del cinque, 
un sei meno meno era una vittoria.
Michele Il professor Arcangelo aveva una personalità molto forte ...quasi un piccolo
dittatore ...non era facile averci a che fare.
Antonio Sogliuzzo Io fui l'ideatore dell'azione. Dissi "Peppe, tu sei l'unico che sa parlare,
devi essere il nostro portavoce."
Milord Eravamo nel salone dove si mangiava, il professore era nel salone comunicante, il
suo studio, un posto che metteva soggezione. Peppe bussò.
Antonio Sogliuzzo Io lo spingevo con garbo, gli altri erano dietro di me.
Milord Peppe attaccò: "Noi tutti abbiamo deciso..." Il professore troncò la frase con un urlo:
"Che caxxo avete deciso, voi?" Scappammo. Peppe rimase solo.
Peppe Onorato In quell'occasione ho capito il coraggio di noi ponzesi. Rimasi più di mezz'ora
nello studio, parlammo, l'ira del professore sfumò. Alla fine mi fece i complimenti per
il coraggio.
Augusto Iodice



Quella volta che...(2)

Antonio Sogliuzzo Era una domenica, passeggiavamo lungo un bel viale lunghissimo,

ai lati giardini di limoni meravigliosi, io dietro con un altro paio di paesani, Peppe

Onorato avanti, a una distanza di oltre quindici metri. Ebbi un'idea lampo: staccai un limone 

e lo lanciai scommettendo con me stesso: "Se sono un tiratore scelto, non prendo Peppe."

Il limone lo colpì al centro della testa, Peppe crollò a terra, corremmo verso di lui, io

dicevo "L'ho ucciso!" Ci chinammo su di lui; ci guardò con aria stupita: "Cosa è successo?"

Per fortuna i limoni procidani hanno la buccia spessa, ammortizza.


Peppe Onorato La limonata mi fece bene, il giorno dopo presi un bel nove in italiano.

Augusto Iodice e Silverio "Sorcio" Vitiello


Quella volta che ... (1)

Antonio Sogliuzzo Era mezzanotte. A me e al mio grande amico Giacchino "Campana" De Martino venne voglia di cachi, quei cachi piccolissimi e senza osso del giardino dell'Eldorado; uscimmo, ne avremmo presi tre o quattro. Ci avviammo al buio, lui conosceva il posto e andava avanti,  io seguivo la sua ombra. Sbagliai un passo, mi ritrovai in una buca profonda più di un metro, fatta dal giardiniere per piantare un albero. Giacchino si voltò: "Non ti vedo più, dove sei?" Io ridevo, passammo un bel po' di tempo a ridere. Che bella persona era, il mio amico Campana.

Milord Io sono il cugino di Campana.

Gennaro





Giuseppe Onorato ha lavorato come macchinista nelle Ferrovie dello Stato; oggi è in pensione, vive a Siena.


Antonio Sogliuzzo viene da una famiglia di uomini di mare ma è allergico all'acqua salata; dopo il diploma ha lavorato col padre, l'Iscaiuolo, sulla barca da pesca e nella pescheria di famiglia ma "Sulla barca ci salivo c'u chiappe 'nganna", confessa. Il suo secondogenito Stefano fa onore alle tradizioni marinare di famiglia: capitano della Guardia di Finanza, ha comandato per sette anni il primo pattugliatore PO1 a Messina; attualmente è in servizio in Sardegna.


Quella volta che ... (3)

Cena tra vecchi compagni di scuola a Le Forna, qualche anno fa

“Ci sono tre porti sicuri: Cartagena, giugno e luglio” diceva Andrea Doria (1468-1560).
E se è dicembre e a Procida si sono imbarcati gli studenti ansiosi di tornare a casa e festeggiare Natale in famiglia? Per fortuna dal 1854 c’è il porto di Ischia che, in quanto a sicurezza, nulla ha da invidiare a quello di Cartagine; è lì che i comandanti del Mergellina e del Falerno sostano, in attesa che la tempesta si plachi.


-Noi s’andava sempre a casa per Natale e per Pasqua- l’accento di Augusto Iodice è oramai toscano ma il racconto è ambientato da queste parti, nelle cinquanta miglia tra Procida e Ponza.
- Capitava che il mare fosse agitato e la nave sostasse a Ischia; noi gironzolavamo nelle strade intorno al porto, poi tornavamo a bordo, nel salone di seconda classe ma di dormire non se ne parlava proprio- prosegue.

Alesio 'u Mammone (foto di Antonio De Luca)

Tra i passeggeri della seconda classe c’è Alesio ’u Mammone, proveniente da Forio, che ha imbarcato il suo carico di merce. Alesio è versatile, passa dal commercio degli agrumi a quello delle cozze, dai fiori alla frutta; è il precursore del temporary shop ma nessuno lo sa, in quel salone di seconda classe. Alesio si avvolge nel suo cappottone, si accuccia su una panca, cerca di prender sonno …
- Ale’, corri, ti stanno rubando i limoni- urla uno. Alessio corre verso il garage della nave, torna, si riavvolge, sta per appisolarsi.
- Ale’, scetati, in prima classe ci sta una bella guagliona che ha chiesto di te- sussurra un altro.  Adda passa' 'a nuttata...



L’allegra brigata non restò a stomaco vuoto. Antonio “Gianco” Aversano ricorda: 

- A bordo c’era il furgone di Vincenzo Esposito che a Ponza, insieme alla moglie Ilda, gestiva un negozio di frutta; Vincenzo era sceso a Napoli per i rifornimenti natalizi e aveva caricato ogni ben di Dio: provoloni, salumi, stoccafisso… “Guagliu’, oggi siete tutti miei ospiti!” annunciò con voce tonante, e imbandì una ricca tavolata.-




Antonio Sogliuzzo e amica sul Falerno





Ormisda Scarogni durante un'esercitazione in officina












L’istruzione nautica a Procida prima dell’unità d’Italia

di Raffaella Salvemini



Ringrazio Raffaella Salvemini (storica, ricercatrice del CNR) per l’attenzione che ha dedicato alla mia ricerca e per il rilevante contributo che vi apporta con questo saggio. L’articolo è stato pubblicato sul numero di marzo 2021 de Il Rievocatore, una rivista ricca e molto curata; ringrazio il direttore Sergio Zazzera per aver concesso la condivisione dell’articolo con Ponzaracconta. (Rita Bosso) 



La notizia che Procida sia la Capitale italiana della Cultura 2022 ha destato grande stupore. Procida ha vinto per la sua capacità di progettare un futuro ma anche grazie alla rilevanza del suo passato e del suo curriculum da cui emergono primati o rilevanti partecipazioni ai processi di sviluppo sociale, economico-marittimo nazionali e internazionali. Si tratta di percorsi decisamente straordinari in tema di navigazione, cantieristica e investimento nella formazione della gente di mare a cui io stessa, come altri studiosi, abbiamo dedicato vari studi. Singolare a mio parere è l’impegno dell’isola nel campo dell’istruzione nautica dove si possono individuare due precisi momenti che risalgono rispettivamente al 1788 e al 1833. Partiamo dalla fine del Settecento quando il progetto d’istruzione pubblica dopo la cacciata dei gesuiti nel 1767 interessò il Mezzogiorno. Da allora lo Stato borbonico, supportati da molti illuministi, cominciò a interessarsi all’istruzione della “gente alta e bassa”. Nascono così le scuole professionali nautiche: a Napoli al San Giuseppe a Chiaia (1767), a Meta e Carotto (1770) in penisola sorrentina e nel 1788 a Procida. Per l’isola su iniziativa del sindaco Salvatore Schiano, dei decurioni e dei massimi esponenti della marineria procidana, legati a quel Monte dei Marinai nato nel 1617, fu votata una delibera per aprire una scuola secondo il “Metodo normale” che al suo interno avesse anche una classe di nautica. La proposta inviata ai responsabili dei piani dell’istruzione pubblica nel Regno di Napoli già conteneva un piano economico e un singolare modello di governance: per il mantenimento della scuola fu stabilito un fondo di 300 ducati di competenza per metà dell’Università e per l’altra metà dalla “bussola delle tartane”. Destinatari del progetto, sicuramente «utile a quella popolazione commerciante», erano i figli dei marinai e dei poveri cui si garantivano libri, carta ed ogni altra cosa necessaria all’istruzione. Il progetto fu redatto il 17 aprile 1788 dai padri Alessandro Gentile e Ludovico Vuoli, cui andava il merito di aver introdotto il “metodo normale” d’insegnamento nel Regno di Napoli. Per Procida si prevedeva la creazione di tre classi delle “Scuole normali” con una cattedra di nautica, cui si sarebbero aggiunte una classe di “belle lettere” ed una di “lingua latina”. La scelta e il pagamento del maestro di nautica dovevano essere di pertinenza della bussola e della Chiesa di Santa Maria della Pietà e del Monte dei Marinai. Per il ruolo di direttore della scuola fu fatto il nome di un supporter d’eccezione: il sacerdote Marcello Eusebio Scotti autore nel 1788 del Catechismo Nautico. Purtroppo a causa dei conflitti con il clero locale l’allora segretario di guerra e Marina ammiraglio Acton, da cui dipendeva la Delegazione delle Scuole normali e nautiche, non affidò l’incarico di direttore al sacerdote che rimase per diversi anni vacante. ritenuto colpevole di aver partecipato alla repubblica Partenopea. Marcello Scotti morì per mano del boia in Piazza del Mercato a Napoli in quel triste mattino del 4 gennaio del 1805 . Con l’arrivo dei francesi nel regno (1806) ci fu la riforma dell’istruzione pubblica e a Procida furono aperte le scuole maschili e femminili, con tre maestre, di «leggere, scrivere e far di conto» oltre la classe di nautica. Con la restaurazione si apre un momento buio per l’insegnamento nautico che dopo la morte nel 1815 del maestro Domenico Parascandolo fu soppresso. in generale l’istruzione pubblica, e ancora più quella tecnico-professionale, non era tra le priorità dello Stato e quindi i Comuni facevano fatica a trovare dei fondi per la scuola. Ciononostante non mancarono le iniziative. la decisione di chiudere la scuola fu contestata da capitani e padroni di bastimenti di Procida che lamentavano l’assenza di equipaggi preparati e competitivi. Dopo l’approvazione (1818) dei regolamenti per Meta di Sorrento, nel 1822 i padroni di bastimento dell’isola sostennero nuovamente la necessità di aprire una scuola nautica. Il Comune, nonostante le difficoltà finanziarie, fu chiamato a fare la sua offerta per la scuola. Ma dove trovare i fondi? l’ipotesi fu quella di trarre profitto dal fitto dell’isola di Bivaro (Vivara) che nel 1818 era diventata di proprietà del comune. la proposta fu ricusata. Le condizioni dell’isola erano disastrose e non si poteva ipotizzare alcuna rendita da una terra che era stata per troppo tempo abbandonata. Ma il progetto della scuola non fu abbandonato e così nel 1830, salito al trono Francesco I di Borbone, furono nuovamente i proprietari di alcuni bastimenti, con la precisione 78, a sottoscrivere un appello in cui s’impegnavano a

finanziare la scuola versando in proporzione al tonnellaggio 425 ducati annui. Dal finanziamento erano escluse le piccole barche da trasporto e traffico e coloro che avevano perso il bastimento. Finalmente il Consiglio provinciale di Napoli nel 1832 accettò la proposta e nella primavera del 1833 nacque la scuola nautica comunale di Procida.

Nel 1836 il giurista Pasquale Liberatore nel ricordare le scuole nautiche di Sorrento, Trapani

e Procida affermava: «era ormai chiaro che per il progresso nel campo della

navigazione era legato alla formazione e all’istruzione della gente di mare. Vane riuscirebbero tutte le sollecitudini del governo in avvalorare il traffico marittimo se mancassero le nostre filuche di marinai capaci di ben maneggiarle. Soccorrono a questo bisogno le natiche

scuole».


Commenti da Procida


Riportiamo alcuni commenti di gente di Procida.


GIACOMO RETAGGIO Ricordo benissimo questi ragazzi ponzesi che negli anni '70 e '80 studiavano a Procida. Molti di essi alloggiavano a pensione completa presso L' Eldorado, gestito all'epoca dal prof. Arcangelo Esposito e dalla moglie Amelia Pietrafesa. Questi giovani mantenevano un clima di allegria in tutta la zona. Io in quegli anni frequentavo, come giovane medico, l'Albano Francescano che era proprio di fronte al loro alloggio e con questi giovani si scambiavano battute scherzose. Spesso ci incontravamo anche nel bar Primavera che oggi non c'è più e che allora stava poco più avanti dell'Ospedale. Alcuni di questi giovani, poi, si sono sposati a Procida con ragazze procidane. Con questi sono rimasto amico fino ad oggi. L'arrivo di questi ragazzi a Procida fu sponsorizzato dal cap. Almerindo Manzo, all'epoca direttore generale delle scuole E.N.E.M. dopo esserne stato, insieme al rev. Vincenzo Scotto di Carlo ( 'u prevete re Muntauto), il fondatore. La sigla significa: Ente Nazionale Educazione Marinara. Oggi al suo posto c'è la Capitaneria di Porto.


TOBIA COSTAGLIOLA: Il prete don Vincenzo aveva formazione marinara; era egli stesso capitano di lungo corso, da giovane era stato fidanzato, pronto ad imbarcarsi, a formare una sua famiglia. La vocazione giunse quando era ormai adulto e impresse un cambio di rotta radicale alla sua esistenza.


ANTONIO COSTAGLIOLA Gli studenti ponzesi erano anche da Maria Grazia Renna Vigna;  anch’io ho fatto tre anni alla scuola dell’Ente nazionale Educazione marinare 


ANNA CAPODANNO Mi ricordo di questi ragazzi di Ponza integrati nella scuola dell'Enem in quanto anche mio padre cap. Capodanno ha contribuito.


MICHELE ROMANO È stato un bel momento di integrazione nella storia procidana.Come dimenticare il compianto Peppe Pepe di Ventotene che divenne uno dei migliori compagni di viaggio nell'impegno politico sull' isola. Resta struggente in me l' incontro avuto alla Chiaiolella, in cui annunciava la sua candidatura a sindaco di Ventotene, perché il giorno dopo un tragico incidente sulla Napoli-Roma lo portò via. 


RAFFAELLA SALVEMINI Belle le interviste e la vicenda del professionale del Novecento. Per la fine dell’Ottocento sarebbe interessante sapere se nonostante il

Caboto a Gaeta il legame con Procida per molti abitanti di Ponza e Ventotene fosse già forte Una storia avvincente quella del Novecento che cementa il legame tra le due isole.


FRANCO SCHIANO

Peppe Pepe era un.mio grande amico.  Venne a Ponza  a lavorare al ristorante con Valerio. Poi divenne il suo braccio destro. Furono accomunati dallo stesso destino: 

morirono entrambi  in un incidente auto

Ho questa foto di Peppe a Ponza.

 

 

 

 

ENRICO POTERE: Ne ho di cose da dire! Sono amico fraterno di Antonio Milord, grazie al mio lavoro ho mantenuto i contatti con tanti amici di Ponza e Ventotene.


Postfazione

di Tobia Costagliola

Queste notizie di vita isolana riflettono un destino comune a tutte le comunità marinare e, in special modo, alle nostre comunità insulari già proiettate, per loro natura, oltre gli sconfinati orizzonti marini. Dal punto di vista antropologico, si tratta della creazione di un ciclo virtuoso  acquisendo conoscenze ed esperienze che non vanno mai disperse, ma redistribuite alle nuove generazioni. Procida e Vivara, Ischia, Ponza, Ventotene, Palmarola e Santo Stefano, un gruppo di isole, grandi e piccole, chi più, chi meno distanti tra loro, hanno mantenuto, fin dalla notte dei tempi, rapporti di reciproca solidarietà e convivenza. Una solidarietà e dei rapporti, non necessariamente o adeguatamente conosciuti dalla Storia, ma che riemergono, in ogni occasione in cui si indaga e si approfondisce la memoria collettiva attraverso la ricerca nella memoria dei singoli. La Storia, nel bene e nel male, non è fatta solo da grandi, altisonanti e significativi eventi, ma anche dalla miriade di comportamenti umani che sono l’espressione più completa della antropologia di comunità operose e silenziose quali quelle che vivono a contatto col mare. A Procida, nel secolo scorso, qualcuno aveva avuto la perspicacia e la lungimiranza di utilizzare una istituzione nazionale che non poteva raggiungere ogni sito marinaro, per mettere a disposizione  degli isolani “più lontani” il grande patrimonio di conoscenza ed esperienza tecnico professionale dei marittimi procidani che, altrimenti, sarebbe andato perduto. Fu questo lo spirito che animò il cuore e la mente di alcuni “esperti” e motivati procidani   che, nel tentativo di ritardare o evitare la chiusura della Scuola Professionale Marittima, furono inviati in “missione” presso i siti più remoti, anche in “Sardegna”, dove le professioni marittime elementari mancavano di queste esperienze. Oggi, dopo, quasi due generazioni, sono ancora vive le testimonianze di un patrimonio che non è andato perduto e che ha contribuito al consolidamento di legami secolari tra gli isolani e l’utilizzazione e la diffusione delle esperienze nautiche acquisite. Molti di  quei giovani ponzesi, pronti ad ogni sacrificio e disagio, pur di conseguire l’irrinunziabile abilitazione ad una dignitosa attività marinara, hanno sposato ragazze Procidane  a sigillo di questa irripetibile e unica esperienza che è ormai  annoverata nella “Storia isolana”.



Sono profondamente grata al capitano Tobia Costagliola per il contributo che ha dato a questa ricerca e per aver accettato di concluderla con un suo scritto. Il capitano Costagliola è firma prestigiosa della stampa marittima, brillante autore di profonde riflessioni su vari aspetti del mondo dello shipping, storico, esperto di portualità, convinto sostenitore della tesi che lo stato di salute dei posti di mare e le loro prospettive di sviluppo dipendano in gran parte dai porti. Ed è, prima di tutto, Procidano. (RitaBosso)



Cinquanta miglia 3

Scuola senza alunni, alunni senza scuola 10

La mia Procida- Silverio 15

La mia Procida- Gianco 17

Foto di classe 22

La mia Procida- Aniello 24

La mia Procida- Enzo 27

La mia Procida- Dino 30

La casa dei guaglioni 32

La mia Procida- Beniamino 37

La mia Procida- Enrico 44

La mia Procida- Milord 48

La nostra Procida- Ricciolino e Cristofaro 51

L’istruzione nautica a Procida prima dell’unità d’Italia 53

Commenti da Procida 56

Postfazione 58






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